La narrazione riprende le vicende del protagonista Amin, del ristorante specializzato in prelibatezze tunisine in cui lavora la sua famiglia e, in particolare, del cugino Tony, che ha messo incinta Ophélie e con la quale stanno pensando di abortire. Nel frattempo, un importante produttore americano, Jack Patterson, insieme alla giovane e avvenente moglie Jessica, si interessa della sceneggiatura di Amin e di dice intenzionato a realizzarne un film.

Mektoub, My Love: Canto Due intrattiene una relazione complessa con i due capitoli precedenti, dato che si dimostra profondamente coerente con questi ultimi da un punto di vista stilistico, distanziandosene invece da quello tematico.

Iniziamo dal primo aspetto: il naturalismo artefatto di Kechiche, vero marchio autoriale del regista franco-tunisino e composto da una forte ricerca e preparazione della messa in scena al fine di realizzare un’impressione di naturalezza e di trasparenza stilistica. Lo sguardo del regista resta inconfondibile, in particolare nel modo di osservare e di presentare sullo schermo i corpi, soprattutto quelli femminili, dei suoi personaggi: il ruolo privilegiato che era destinato a Ophélie nel Canto Uno è occupato qui dall’attrice americana Jessica, sulle cui forme generose la macchina da presa indugia spesso e volentieri, dando luogo a quel miscuglio di desiderio sessuale e contemplazione sacrale tipico del regista.

Mektoub, My Love: Canto Due
Mektoub, My Love: Canto Due

Mektoub, My Love: Canto Due

Anche il modo di mettere in scena il tempo resta invariato: l’autore crea delle bolle temporali in cui lo scorrere dei minuti è dilatato e insistito, finendo per dare luogo ad una mimesi della realtà temporale, cioè una ricostruzione realistica del divenire comune ad ognuno di noi. Infine, permane il peculiare sfruttamento della luce, altro marchio di fabbrica di Kechiche che ama riprendere i protagonisti in controluce, stagliandoli davanti al sole e ostacolandone il raggio con il loro corpo al fine di produrre un’esaltazione della carnalità e fisicità degli attori.

È il contenuto, invece, a marcare una differenza rispetto agli altri capitoli, a partire dalle azioni del protagonista e alter-ego del regista, Amin: questi non si limita più a osservare passivamente le azioni altrui, prefigurando in questo modo il suo futuro dietro la macchina da presa.

In Canto Due avviene un metaforico scavalcamento di campo: Amin agisce, interviene sventando il tentativo di omicidio del cugino e salvando anche l’assalitore. Più in generale, inoltre, è nella storia che si verificano le maggiori divergenze rispetto al passato: i capitoli precedenti modificavano radicalmente il concetto di trama, annullandone il significato comune, cioè la concatenazione di eventi finalizzati a comporre un inizio, uno svolgimento e una fine, per realizzare un flusso magmatico, una successione meramente cronologica degli eventi, allo scopo, come visto poco sopra relativamente alla gestione del tempo, di riprodurre la vita e il suo spontaneo realizzarsi.

Mektoub, My Love: Canto Due
Mektoub, My Love: Canto Due

Mektoub, My Love: Canto Due

Nel “secondo canto” questa ricerca viene meno, dato che la trama è maggiormente strutturata, prendendo la forma del romanzo di formazione (l’incontro con il produttore e la nascita delle speranze di carriera future), per poi sfociare nel thriller e nel poliziesco in concomitanza con il tentativo di omicidio. Infine, la forte predominanza del desiderio e dell’eros, centrale nei primi due capitoli, permane anche in questo canto ma viene bilanciato da thanatos, tramite la discussione sull’aborto di Ophélie che perdura per tutto il film e la sparatoria del finale.

Concludendo, Mektoub, My Love: Canto Due porta il bildungsroman di Amin fuori dalla giovinezza, di cui abbandona il correlativo oggettivo (l’estate) e la vitalità creativa, per accogliere una dimensione maggiormente articolata e, per questo, matura.