Una bambina di nome Moon vaga per uno strano mondo, post-apocalittico e tornato allo stato di natura, interamente popolato da altri fanciulli. La protagonista vagabonda incessantemente in un paesaggio arido e polveroso, facendo la conoscenza di altri bambini e, talvolta, vivendo incontri onirici in cui i suoi coetanei si esprimono in lingue mai esistite e discorrono di argomenti iper-specialistici propri del mondo degli adulti.

Ben Rivers adatta l’opera teatrale in un unico atto The Word for Snow di Don DeLillo (2007) e la scompone in capitoli, ognuno dei quali viene annunciato allo spettatore con un titolo in caratteri bianchi che campeggia su uno schermo nero. Questa operazione brechtiana, finalizzata a dichiarare la natura finzionale della narrazione attraverso la segnalazione delle parti di cui si compone, viene applicata a una storia di natura fiabesca, come si può intuire dal riassunto della trama. Il regista racconta infatti di un mondo primigenio popolato da bambini, dando luogo a una rivisitazione in chiave pacifista e favolistica de Il signore delle mosche, il romanzo di William Golding pubblicato nel 1954.

Mare's Nest
Mare's Nest

Mare's Nest

Ben Rivers persegue in Mare’s Nest la propria poetica sperimentale, caratterizzata da una trama minimale, formata da micro-azioni e dialoghi lunghi e spesso privi di senso, trattata tramite il ricorso agli elementi linguistici propri dello slow cinema, come la regia composta da piani sequenza dilatati e campi lunghi che ritraggono i protagonisti mentre girovagano senza meta. Inoltre, il film affronta le tematiche consuete di Rivers, come l’isolamento (Moon non sviluppa relazioni significative con gli altri bambini ma vaga restando sola), la relazione tra l’uomo e l’ambiente (quella fra la protagonista e il mondo primigenio in cui si trova), il tempo e il significato che a questo viene conferito.

In particolare, è quest’ultimo concetto a risultare centrale tanto in Mare’s Nest quanto nell’intera filmografia del regista: la disponibilità dello spettatore a esistere nel tempo del film piuttosto che a esperirlo, rinunciando alla ricerca di un senso logico per abbandonarsi alla contemplazione delle immagini proposte, agevolato in questo dalla resa estetizzante delle soluzioni linguistiche di Rivers. Di grande bellezza sono alcune scelte relative alla fotografia — come il magnifico bianco e nero che esalta la luce del fuoco nella scena in cui le tre bambine si trovano in una tenda, parlando una lingua inesistente — oppure alla messa in quadro, come il piano sequenza che riprende i protagonisti da lontano, incorniciandoli attraverso il foro naturale in una roccia.

Ben Rivers: Lisa Whiting photography
Ben Rivers: Lisa Whiting photography

Ben Rivers: Lisa Whiting photography

Mare’s Nest costituisce quindi l’ennesimo tassello di una poetica assolutamente coerente e significativa, capace di aprire spiragli di intensa bellezza. Purtroppo, il linguaggio del regista non è per tutti, data la sua natura marcatamente sperimentale e distante dalle consuete soluzioni formali più comuni e massificate.