Film di apertura della Semaine de la Critique 2025, L’intérêt d’Adam conferma Laura Wandel come una delle voci più interessanti del cinema europeo contemporaneo. Dopo il soffocante cortile scolastico di Playground (Il patto del silenzio in italiano) – vincitore del Tertio Millennio Film Fest nel 2022 - la regista belga stringe ancora di più il campo: corridoi stretti, luci fredde, pareti d’ospedale. Niente via di fuga. Solo corpi, respiro, attrito.

Dalla scuola -metafora di una società che può educare o distruggere – al reparto pediatrico, teatro delle tensioni estreme tra legge, istinto, istituzione e affetto. Ancora una volta, Wandel stringe l'inquadratura su corpi fragili e combattenti, per raccontare la disperata lotta tra vulnerabilità e potere.

Tutto si consuma in una notte. Adam, quattro anni, ricoverato per denutrizione su ordine del tribunale. Sua madre, presenza disturbante e vitale, che rifiuta di separarsi. E Lucy, l’infermiera capo, unica trincea tra legge e desiderio, tra diritto e istinto.

Wandel filma come se fosse un’urgenza. Macchina a mano incollata ai corpi. Piani sequenza che non lasciano scampo. Un'immersione senza protezioni nel labirinto della cura, dove ogni porta chiusa, ogni flebo cambiata, ogni carezza trattenuta è un atto politico, prima ancora che emotivo.

Se in Playground il dramma si consumava nello sguardo smarrito dei bambini, qui la tensione si accumula tutta nel corpo adulto di Lucy/Drucker, straordinaria nell’inventarsi una gamma di gesti quotidiani – spostare una flebo, rassettare un letto, piegarsi a un colloquio teso – che divengono azioni eroiche. La recitazione della Drucker è fisica, tecnica, interiorizzata: sembra davvero una professionista della cura, con una densità e una precisione che rendono credibile ogni azione. È attraverso il suo corpo che Wandel racconta il dramma: corpo che agisce, sostiene, si ribella e infine si sacrifica.

Anamaria Vartolomei offre una controparte altrettanto intensa: la sua madre instabile, caparbia fino all'autolesionismo, non chiede comprensione ma diritto all'amore, senza filtri, senza condizioni, senza logica. È un personaggio volutamente ambiguo, che Wandel non assolve né condanna, lasciando che lo spettatore fluttui tra empatia e irritazione.

La tensione cresce, si annoda, si fa cronica. Wandel non arretra: filma il rischio, l’ambiguità, la zona grigia dove la legge salva e ferisce, dove la madre è vittima e carnefice, dove l’infermiera è eroe e carne da macello.

Qualche forzatura narrativa si sente, soprattutto nella gestione del conflitto finale. Ma non importa: il dispositivo filmico funziona come un orologio svizzero, dove ogni movimento – di macchina, di corpo, di silenzio – è calibrato al millimetro. Tutto si tiene e si tende come una corda di violino, vibra di una tensione reale, urgente, palpabile.

L’intérêt d’Adam è un film che ti si appiccica addosso. Non ti commuove: ti scava. Non ti consola: ti sfida. In meno di novanta minuti, Wandel costruisce un dramma che pesa come una notte intera senza sonno.

Come già in Playground, Laura Wandel filma l'infanzia non come un'innocenza da proteggere, ma come un campo di battaglia permanente. E filma l’adulto – oggi – come chi si aggrappa alla cura mentre il mondo intorno implode.

Se cercavate la conferma, eccola: L’intérêt d’Adam è un film da cui non si esce indenni.
E Wandel è ormai tra i grandi.