Nel teatro classico, il repertorio è quella raccolta di testi, parti, soggetti che un attore o una compagnia teatrale ha a disposizione, magari da rimaneggiare con piccole variazioni, senza dover allestire di continuo materiale originale.
La profezia del male (Tarot, tarocco in originale), diretto dal duo Spenser Cohen e Anna Halberg, al primo lungometraggio dopo il successo di un podcast, è puro repertorio, un horror che prende uno schema standard e lo rimette in piedi senza che il pubblico possa accorgersi delle differenze coi precedenti.

Tratto da un romanzo (Horrorscope, inedito in Italia) di Nicholas Adams, che scrive il film assieme ai registi, il film racconta di un gruppo di ragazzi che durante una serata trova un mazzo di tarocchi: violando la regola per cui non si usano i tarocchi di qualcun altro, li usano per leggere il futuro. Che per loro sarà quello maledetto dagli spiriti che quei tarocchi li animano.

La profezia del male © 2024 CTMG, Inc. All Rights Reserved
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Avantika Vandanapu “Paige” in Screen Gems TAROT (Slobodan Pikula)

Potrebbe essere una seduta spiritica, una tavoletta ouija, un gioco da tavola, un cimelio, un cellulare, insomma basta cambiare l’oggetto ed ecco che si può servire un nuovo format da adattare nel modo più convenzionale possibile, guardando al pubblico giovane che film simili li beve come acqua e costruendo il racconto attorno a quelle quattro o cinque morti intorno alle quali non serve mettere altro.

La profezia del male © 2024 CTMG, Inc. All Rights Reserved
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Larsen Thompson “Elise” in Screen Gems TAROT (Slobodan Pikula)

Va bene, sono le regole del gioco di certo horror commerciale, ma di un film come La profezia del male, cosa potremmo mai farcene? Senza chiedere inquietudini profonde, ci basterebbero almeno un po’ di spaventi genuini, che il film non ha perché impegnato a ripetersi e a rendersi prevedibile in ogni svolta, d’altro canto, la resa visiva dell’orrore è di quelle a mezza bocca, né totalmente allusiva e fuori campo, neppure violentemente gore, che non soddisfa nessuno.

Di loro, volendo, i registi ci mettono qualche belluria visiva, qualche estetismo cromatico che però non è mai un vero schiaffo estetico che permetta di sollevare la testa e interessarsi al film sul serio. La profezia del male rimane perciò un prodotto di consumo, sottofondo di una serata tra amici, riempitivo di un sabato in cui non si sa che fare. Più che un film un oggetto che tra qualche mese sarà replicato da qualcun altro, che andrà ad aprire senza idee il repertorio dell’orrore.