Sebastián Lelio tenta la via impervia del musical politico con La Ola (The Wave), costruito attorno al fuoco acceso delle proteste femministe universitarie del Cile 2018. La scelta non è casuale: dopo l'Oscar per Una donna fantastica e la doppia incursione nelle vite di donne comuni in Gloria e Gloria Bell, Lelio torna al femminile, stavolta in chiave militante e musicale, ambiziosa nel concept e audace nelle forme.

Ma La Ola sconta da subito la fatica di un'operazione contraddittoria. Julia, protagonista studentesca e voce del dissenso, diventa suo malgrado epicentro della ribellione; la regia di Lelio la segue, la celebra, ma poi la schiaccia sotto il peso di un impianto coreografico che, se pure affascina per potenza espressiva e precisione scenica, presto soffoca il nucleo drammatico del racconto.

La Ola di Sebastián Lelio
La Ola di Sebastián Lelio

La Ola di Sebastián Lelio

Il confronto con Emilia Perez di Jacques Audiard è inevitabile: anche il regista francese aveva osato la contaminazione musicale e politica, ma con una leggerezza cinematografica che Lelio qui non possiede. Se Audiard aveva sorpreso per freschezza e immediatezza narrativa, Lelio invece cade in un eccesso formale e narrativo, meno agile e più soffocante. Entrambi affrontano la protesta con il linguaggio dello spettacolo, ma Lelio sceglie un registro urlato e dichiaratamente frontale che fatica a sostenere le sfumature necessarie.

Musical, certo. Il rischio intrinseco è noto: la protesta come spettacolo, la militanza politica come atto performativo. Lelio non lo evita, anzi lo amplifica con un linguaggio urlato, esposto, che spesso scivola nel frontale, quasi volesse sfidare Hollywood sul suo stesso terreno—riuscendo invece soltanto a emularne meccanicamente la superficie. Il film è efficace quando coglie l’energia grezza e disperata della rivolta, meno quando cerca l’epica a tutti i costi, sacrificando complessità e sfumature alla forza bruta dei numeri musicali.

La Ola di Sebastián Lelio
La Ola di Sebastián Lelio

La Ola di Sebastián Lelio

Notevole, è vero, il montaggio, che seziona con acuta consapevolezza ritmo e tempi della protesta, catturandone l’urgenza autentica e l’aggressività quasi ancestrale. Ma qualcosa non torna: l’eccesso spettacolare genera saturazione, l'intenzione di far emergere questioni profonde e intricate (dalla denuncia sociale alla critica auto-riflessiva sull’appropriazione maschile di storie femminili) resta irrisolta, sospesa in un finale roboante, visivamente splendido ma narrativamente esausto.

Personaggi? Sbiaditi, purtroppo. Anche Julia si perde, ridotta a icona involontaria, eroina che Lelio esalta e contemporaneamente svuota di sostanza. Ecco il paradosso: Lelio, che in Una donna fantastica e Disobedience aveva brillato per la capacità di scavare intimamente nelle psicologie femminili, qui sembra perdere proprio quella profondità. Così il film, nonostante ambizioni alte e una fattura indubbiamente di rilievo, finisce intrappolato nella gabbia di una forma troppo rigida, autocompiaciuta, che lascia poco spazio al cuore pulsante della storia. Più esperienza visiva che cinematografica, più slogan che dialogo, La Ola è destinato a dividere, incapace di coniugare davvero spettacolo e profondità. Lelio regista resta interessante, il film meno.