Hors la loi di Rachid Bouchareb arriva in Concorso a Cannes: se lo schermo non ne conserverà traccia, viceversa, rimarranno impresse le eccezionali, eccessive misure di sicurezza adottate sulla Croisette, il sit-in di 80enni nostalgici del colonialismo francese che fu, l'acqua e le mele lasciate fuori dalle sale. Una montagna preventiva partorita da un topolino di film: si parla del movimento di liberazione algerino (FLN, Fronte di Liberazione Nazionale), partendo dalla strage dei coloni francesi da Sefit nel 1945 fino al 1962 dell'indipendenza. Senza averlo visto, il deputato francese Lionnel Luca (Union pour un mouvement populaire) aveva accusato Hors la loi ("Fuori dalla giustizia") di negazionismo e Bouchareb (London River, Indigenes) quale “irresponsabile che mette fuoco alle polveri”. Accuse ingiuste, per quel che si vede, e soprattutto per com'è quel che si vede: socialismo pret-a-porter, bigiotteria estetica, negazionismo del cinema, asservimento illustrativo.
Interpreti già premiati collettivamente nel 2006 per Indigenes, Jamel Debbouze, Roschdy Zem e Sami Bouajila sono tre fratelli che, abbandonata l'Algeria dopo Sefit, si ritroveranno per vie differenti nella bidonville parigina di Nanterre: Messaoud (Zem) ci arriva da reduce dell'Indocina, mentre Abdelkader (Bouajila) prende il comando dell'Fln della città e Said (Debbouze) tenta il riscatto sociale tra ballerine e boxe a Pigalle. Diversi ma, ovviamente, fraterni, uniranno le forze per la causa di liberazione…
La prima parte ricorda molto da vicino – analoghi gli studi di Ben Arous in Tunisia di proprietà di Tarak Ben Ammar… - Baaria, e non è un complimento. Se nel terreno spinoso di verosimiglianza storica e fedeltà ideologica manco ci addentriamo, per il pollice verso bastano e avanzano interpreti senza empatia, minimismo psicologico, paragoni impietosi – da Pontecorvo a Techiné – e una verità: dalla promozione “tre fratelli, un destino” al film “tre fratelli, una televisione”.