Per essere cupo, è cupo. Basta soffermarsi sul modo in cui è ritratta la Londra dickensiana e babelica, oltraggioso monumento alle differenze. La sua tela sociale squartata, divisa tra ricchissimi e miserrimi, case vittoriane e vicoli della perdizione, signorotti e lebbrosi senza lebbra, salotti del vizio e bettole della pestilenza. 
Dorian Gray di Oliver Parker - autentico cultore di Oscar Wilde: aveva già diretto Un marito ideale e L'importanza di chiamarsi Ernesto - si ferma qui però: a uno sfondo, un impulso decorativo, memoria calligrafica. In questo nuovo adattamento del capolavoro dello scrittore inglese a mancare è il soffio vitale, la contemporaneià. E dire che è uno dei romanzi più moderni della storia, con quell'ossessione per la bellezza, la paura della morte, l'orrore per la corruzione del corpo, che è il tarlo e il make up dell'odierno estetismo. 
Un'ossessione alla quale Parker e i suoi collaboratori non sembrano immuni perché il film pecca di maniera, è laccato, anestetico. Come se sulla pulsione creativa prevalesse la preoccupazione di non macchiare il capolavoro letterario. Così l'immersione nell'anima corrosa di Gray non è in apnea, ma col sommergibile: vista da un oblò, protetta. L'impressione è che tutto venga riprodotto per essere ammirato a distanza: le fosche atmosfere disegnate a pastello, le fisionomie da museo delle cere, i sordidi recessi dell'anima ridotti a una fiammeggiante sciarada di orge plastiche e fumi d'incenso. Decadenza e bruciore morale lasciati alla porta: Barnes con quel suo viso pallido e l'aria di eterno bamboccio non lascia trasparire nulla. Meglio Firth come diavolo tentatore. E se la scelta di ridurre ogni vizio a lussuria, poteva rivelarsi azzeccata - a giudicare dalle cronache politiche nostrane persino scomoda - Parker non ha cattiveria necessaria per lasciare esplodere sullo schermo tutta la potenza seduttiva e infettante del sesso, qui talmente gelido da apparire innocuo. 
Come e perché Dorian debba perdersi per così poco è un mistero che il film non rivela e che Wilde avrebbe considerato oltraggioso. Da spettatori non ci resta che compatire lo sciagurato protagonista: perdere l'anima non sarà il pessimo affare che dicono, ma qui si è fatto proprio fregare.