"Noi il ferro del nemico lo affondiamo, ma gli uomini li salviamo".
Sembra una banalità, ma in tempi di guerra un'azione simile è destinata a cambiare determinati parametri, a rimarcare quanto la legge del mare non possa sottostare alle leggi del conflitto.
Per il suo quinto lungometraggio Edoardo De Angelis abbandona il campo d'azione abituale (il territorio partenopeo che abitava e caratterizzava Mozzarella Stories, Perez, Indivisibili e Il vizio della speranza) e si getta in acque finora inesplorate con Comandante, quasi kolossal da una quindicina di milioni di budget che riporta a galla le gesta di Salvatore Todaro, pluridecorato militare italiano passato alla storia per aver tratto in salvo, nell'ottobre del 1940, 26 naufraghi belgi nelle acque dell'Atlantico.
Per la prima volta in concorso a Venezia - il film inaugura questa 80ma edizione della Mostra - De Angelis porta sullo schermo uno script firmato insieme a Sandro Veronesi (dal quale è tratto l'omonimo romanzo edito da Bompiani) e costruisce insieme a Pierfrancesco Favino - ennesimo, nuovo intercalare per la sua recitazione (il veneto stavolta) - la versione cinematografica di un uomo realmente esistito, autore di un gesto che in tempi come i nostri (la guerra russo-ucraina, che il film sottolinea con l'esergo iniziale, o le innumerevoli tragedie che ancora tingono di sangue i mari con le morti dei migranti) rimbomba e non può lasciare indifferenti.

Edoardo De Angelis e Favino sul set di Comandante - Foto Enrico De Luigi
Edoardo De Angelis e Favino sul set di Comandante - Foto Enrico De Luigi

Edoardo De Angelis e Favino sul set di Comandante - Foto Enrico De Luigi

Il cuore e lo stomaco dell'opera sono da rinvenire ovviamente nel sommergibile Cappellini della Regia Marina che il Comandante governa durante la seconda guerra mondiale: un "pesce di ferro" che si nasconde negli abissi, che di tanto in tanto riemerge, all'interno del quale uomini provenienti da qualsiasi parte del paese formano un corpo unico. Cameratismo e onore, certo, che trovano nel rispetto incondizionato verso Todaro - uomo capace di guardare oltre, come quando decide di lasciare a terra un marinaio e questi tre giorni dopo viene operato d'urgenza per peritonite - l'ulteriore tassello per mettere da parte eventuali incomprensioni o tensioni date dalle differenze di provenienza territoriale o dalla situazione di cattività in cui questo equipaggio si ritroverà dopo lunghi giorni di navigazione.

De Angelis sa sfruttare molto bene alcune caratterizzazioni, partendo dal sodale Massimiliano Rossi qui impiegato come secondo/aiutante del comandante, passando per il corallaro di Torre del Greco (Gianluca Di Gennaro) o il cuoco di bordo, interpretato da Giuseppe Brunetti, e affida ad immagini liriche-oniriche il gancio con la vita rimasta sulla terraferma, dapprima con quel prologo in cui accenna all'infortunio di Todaro (frattura della colonna vertebrale dovuta ad un inabissamento di un idrovolante) e alla moglie Rina (Silvia D'Amico) che tenta di convincerlo a ritirarsi, poi con rimandi a queste immagini irreali di "felicità" domestica verso le quali l'uomo anela ma al tempo stesso rifugge in nome di un ideale immarcescibile.

"Non sono un fascista, sono un uomo di mare!": è dunque questo il punto nodale intorno cui ruota il film del regista napoletano, che dimostra enorme coraggio e disinvoltura nell’alternare momenti epici, e bellici – come nella scena dell’attacco al Kabalo, il mercantile belga dal quale poi Todaro trarrà in salvo i naufraghi e per accoglierli a bordo è costretto a navigare in emersione per tre giorni, rendendosi visibile alle forze nemiche e mettendo a repentaglio la sua vita e quella dei suoi uomini – a situazioni “interne” meno spettacolari ma di forte tensione emotiva.

Al tempo stesso, però, sembra non fidarsi mai troppo delle sue immagini (al punto da eccedere con la parola (si ricorre molto alla voce fuori campo dei vari personaggi, in primis al comandante e alle sue lettere per la moglie) e, ma forse era inevitabile, con la prosopopea che finisce per caricare un po’ troppo un film, di per sé, già abbastanza carico a pallettoni: “Perché ci avete salvato?” – “Perché siamo italiani”… E tutto questo, è abbastanza prevedibile, finirà per essere cavalcato anche a livello politico.  

Comandante - Foto Enrico De Luigi
Comandante - Foto Enrico De Luigi

Comandante - Foto Enrico De Luigi

Resta però la sfida vinta di un prodotto non così abituale dalle nostre parti (anche se gli effetti delle scene in emersione non riescono sempre a restituire un livello di verità costante) e la suggestione di alcuni passaggi, forse quelli più “teneri”, come ad esempio la scoperta delle patatine fritte, piatto “tipico” belga che – a quanto pare – fino a quel momento gli italiani non avevano mai considerato potessero esistere. 

Prodotto da Indigo Film, O' Groove, Tramp Limited, VGroove, Wise, Beside Productions e Rai Cinema, Comandante sarà nelle sale dall’1 novembre con 01 distribution.