Che cosa può dare speranza a chi vive una vita a metà, figlia di scelte non proprie e di circostanze avverse? Forse il fatto stesso di vivere, così come recita l’antico motto “finché c'è vita c'è speranza”, che si usa dire quando le cose non vanno per il verso giusto e tutto ci porta dire il contrario. Ma a quale condizione la vita fa ancora rima con la speranza?

La vita di Maria è una vita dannata. Ripescata in mare come un rifiuto, è cresciuta marcata da un abuso sessuale che le ha scalfito il volto e privato il ventre della capacità di generare. Figlia di una madre alienata e braccio destro di Zi' Mari, una protettrice tossicomane, Maria traghetta povere anime sul Volturno, prostitute nigeriane che affittano l'utero per sopravvivere e ingrassare la loro miserabile padrona. Un giorno la fuga di Fatima, che vuole tenere per sé il suo bambino, e la scoperta di una gravidanza inattesa, scuotono Maria dal profondo e la spingono verso il sogno di una vita nuova.

Il vizio della speranza, scritto e diretto da Edoardo De Angelis, autore degli acclamati Mozzarella Stories (2011), Indivisibili (2016) e, più di recente, Comandante (2023), è stato presentato alla Festa del Cinema di Roma 2018 dove ha ricevuto il “Premio del pubblico BNL”, per poi far vincere alla veterana Marina Confalone il quinto David di Donatello in carriera e il quarto come “miglior attrice non protagonista”, insieme alle nomination come “miglior attrice protagonista” per Pina Turco, moglie del regista, vista nelle serie televisive Un posto al sole e Gomorra, e per la “miglior canzone originale” ‘A speranza di Enzo Avitabile, compositore e sassofonista napoletano.

Il vizio della speranza
Il vizio della speranza

Il vizio della speranza

(Paolo Ciriello)

In un mondo con più ombre che luci De Angelis pianta come un fiore la speranza, la prospettiva dell'umanità, simboleggiata dal mare, luogo di morte e insieme di possibilità di rinascita, potremmo affermare, battesimale. Infinitamente sola, Maria sembra aver preso tutta l'ombra del mondo, è una emarginata, sociale ed esistenziale, che non segue nessuno progetto di felicità fino al giorno in cui trova nella fuga di una ragazza più disgraziata di lei e nell'incontro con un giostraio l'occasione e l'opportunità di osservare le cose della vita da un angolo diverso, ovvero dalla prospettiva dell'umanità.

Maria è una “Madonna guerriera” asservita a una legge che sembra inalterabile, capace infine di scoprire, grazie a una maternità inattesa quanto misteriosa, un bagliore di amor proprio. Non passino inosservati i nomi di queste due donne, da un lato Maria, il nome della purezza e del servizio disinteressato garantito dalla Vergine Immacolata che quel nome ha elevato per sempre (e c’è anche una terza ragazza che si chiama Virgin), dall’altro Fatima, che ci conduce a uno dei più celebri luoghi del miracolo dell’apparizione, dove la madre di Gesù nel 1917 consegnò a tre infanti profezie su un futuro funesto e insieme la vittoria del bene sul male.

Fatima è anche un nome di origine araba, che significa "nutrice", "colei che svezza", a rimandare alla dimensione della maternità, il dono più grande che può caratterizzare una donna, il dono della vita nascente stessa, ma che qui, sul Litorale Domitio, diviene anzitutto occasione di mercimonio e sofferenza. “Maria – disse il regista in un’intervista nel novembre 2018 – è generatrice, e anche in una condizione di aridità è viva, è speranza, è l’anello di congiunzione tra il passato e il futuro”. Sarà infatti il casuale incontro tra Maria e Carlo (Massimiliano Rossi), un giostraio, l’unica persona “umana”, come la definisce lei stessa, a darle la possibilità di riaprire la scatola dei ricordi, facendo riaffiorare il trauma.

Il vizio della speranza
Il vizio della speranza

Il vizio della speranza

(Paolo Ciriello)

Un incontro trasfigurante, che richiama la relazione analitica, nella quale Maria, rievocando il passato, trova un nuovo orizzonte per il futuro. Tra le fotografie, che Carlo scattava per immortalare i volti impauriti dei ragazzini sulla giostra, c’erano anche quelle di Maria, nel giorno della sua Prima Comunione, poco prima che avvenisse la violenza. Insieme ricordano quel giorno: un racconto che restituisce, a Maria, attraverso una nuova alleanza, una memoria e un’identità, un bene prezioso in un luogo alienante.

Il vizio della speranza è un film in cammino, composto di desideri che diventano azioni, di relazioni che perdono la finzione e anche tutto quello che è sopportabile sopravvivenza. Ma non solo. C’è qualcosa che fa pensare anche a una dimensione alta, Altra. Alla religione, che diventa superstizione con i muri pieni di quadri d’autore o popolari che raffigurano la Madonna nella casa di Zi’ Mari, o alla fede che diventa preghiera. Una fede nascosta a se stessi che diventa imprevedibile supplica, richiesta, rifugio. Una fede a suo modo sincera e vissuta fino in fondo.

La tensione verso una dimensione sacrale si manifesta anche nella colonna sonora di Enzo Avitabile, di grande suggestione e bellezza anche se un po’ invadente. Nelle sonorità ancestrali del compositore partenopeo, costruite a partire dalla musica sacra popolare del Settecento, si ritrova intatta la comunione tra profano e divino, temporale ed eterno, che il film cerca di mantenere in equilibrio. Il vizio della speranza è una favola nera, amara come talvolta e la vita, è un film quanto mai attuale nella sua bruciante visione della realtà, è un’occasione preziosa per riflettere e chiederci se davvero “finché c'è vita c'è speranza”.