Curioso che uno dei tanti reucci dell'horror orientale, con tentativo di trapianto ad Hollywood, abbia girato un film dove i codici di genere siano sfumati fino alla loro cancellazione. Parliamo di Chatroom per la regia di Hideo Nakata, film inatteso, formalmente matrixiano, singolarmente intimista, selezionato al Certain Regard. Inatteso perché nella chatroom aperta dall'inglesino diciassettenne William, a cui partecipano i coetanei Jim, Mo, Eva ed Emily, non ci sono fantasmi. Sì, parliamo di ectoplasmi, cianotiche presenze dall'aldilà che trascinano a sé le anime che stanno nell'aldiquà. Marchio tipico di Nakata, nel tempo perfino parodiato. Semmai in Chatroom esiste questa dimensione spaziale e temporale doppia. Da un lato una realtà piena di problematiche adolescenziali e dall'altro il possibile rifugio/palliativo nella chat, letteralmente una stanzetta, con tanto di porta personalizzata in mezzo a lunghi corridoi, tra centinaia di migliaia di altre. Trovata che vale mezzo biglietto e rappresentazione visiva distintiva (reale seppiato e saturo; chat colorata e deformante) ovviamente immaginaria che corrisponde all'idea irreale che i ragazzi hanno l'uno dell'altro in rete. In questo c'è una forte impronta formale alla Matrix: quindi spesso i due piani si compenetrano e si mescolano, si interfacciano e si separano violentemente. Ma se c'è un elemento assolutamente peculiare e sentito di questa strana pellicola prodotta in occidente, è questo tragico elemento poetico molto orientale: il suicidio. Al di là della mera costruzione narrativa che vuole William, ragazzetto frustrato (la mamma è autrice di un best seller alla Harry Potter) ad incitare gli altri amici di chat altrettanto frustrati nel ribellarsi ai torti subiti fino “alla morte”, c'è questa presenza assidua e invadente dei tentativi di suicidio adolescenziale ripresi da estemporanee video chat o tentati dai protagonisti. In ciò Nakata riporta un'ossessione e la stigmatizza ferocemente, abdicando ai meccanismi di genere per diventare un inaspettato fustigatore morale. Strano ma vero e comunque da vedere.