I fratelli Danny e Michael Philippou cambiano strada per il loro secondo horror, dopo il titolo che li ha lanciati, Talk To Me sull’archetipo della mano diabolica. Tanto quello era esoterico e quasi metafisico, tanto Bring Her Back è fatto di carne e sangue, si tuffa nel territorio del body horror. Un punto di contatto però c’è: in entrambi lavorano sul sottogenere dell’evocazione, perché nel primo film c’è una formula che trascina per mano nell’altra dimensione, e qui interviene un rituale per riportare in vita una defunta. Insomma, i Philippou pensano che il tessuto molle della realtà possa essere incrinato attraverso un rito, fino ad aprire una crepa che favorisce il sorgere del soprannaturale. In questi tempi di creduloni, no vax e sciatori chimici assortiti, è un’idea forte sulla quale far viaggiare il loro sguardo.

Bring Her Back, COPYRIGHT www.ingvarkenne.com
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Sally Hawkins on the set of A24’s BRING HER BACK

Ma andiamo con ordine. I protagonisti di Bring Her Back, nuovo colpo della A24, sono due fratelli: il diciasettenne Andy (Billy Barratt) e la sorellina ipovedente Piper (la rivelazione Sora Wong), che vede solo ombre e contorni, e si appoggia all’amato fratello per vivere una vita piena. Stanno bene, tutto sommato, finché non muore tragicamente il padre unico genitore. A quel punto Andy e Piper vengono affidati insieme a una signora, Laura interpretata da Sally Hawkins, che li accoglie amabilmente nella sua casa, seppure manifestando una netta preferenza per Piper. La dimora della donna è segnata da una presenza e un’assenza: la presenza è quella del figlio adottivo Ollie, un bimbo difficile che non può uscire per le forti tendenze autolesioniste; l’assenza è la figlia naturale Cathy, annegata nella piscina in giardino, che era non vedente proprio come Piper. Nella nuova convivenza iniziano ad accadere strani eventi…

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Sora Wong on the set of A24’s BRING HER BACK

Come sempre non si può dire troppo per evitare lo spoiler. E la rivelazione graduale di ciò che sta succedendo è il cuore nero di Bring Her Back, che ruota attorno alla nuova mamma col suo folle progetto, un ritorno dalla morte per strappare la figlia perduta dal regno infero. Va piuttosto sottolineato, come detto, che i registi percorrono un altro sentiero nel paesaggio dell’orrore, mostrando la volontà di non fossilizzarsi sulla ricetta precedente. Certo, anche qui si ragiona su un topos primario, la mater terribilis, la genitrice che invece di proteggere le creature affidate gradualmente le divora piegandole ai suoi piani; e c’è il motivo ricorrente della protagonista non vedente, chiamata a difendersi malgrado tutto, Sora Wong come Mia Farrow in Terrore Cieco di Richard Fleischer. Ma del resto la Storia dell’horror racconta che il genere è una continua riscrittura di archetipi, segni e figure, tutto sta in come si rimettono in scena.

E cosa fa Bring Her Back? Allestisce un processo di consunzione dei corpi, partendo dalla privazione di un senso, la vista, per poi giungere nella zona di un body horror originale e peculiare, costruito soprattutto sulla fisicità inquietante di Ollie (sembra l’Alexia-Adriane di Titane in miniatura). Una sequenza per tutte: Andy che offre il melone al bambino, il quale inizia a masticare il coltello ferendosi orribilmente, aprendosi il labbro. Ed è solo l’inizio della degradazione, che passa per la dissezione di strisce di pelle a scopo di autofagia.

Il film scaglia poi un altro dardo: Sally Hakwins. L’attrice, nel ruolo della madre abietta e feroce, opera una riscrittura radicale del proprio personaggio, mantenendone però i tratti caratteristici per declinarli in salsa orrorifica. In altri termini: se la vedete ne La felicità porta fortuna di Mike Leigh scoprirete che è lo stesso carattere, avvolto nella medesima solarità e “simpatia” della sua figura, perfino nella capacità di accoglienza, solo che qui assume tratti angoscianti e sinistri. Una lezione di cambio di registro per un’attrice in grado di mettersi in gioco sul complesso terreno del genere, dove molti capitolano, continuando ad essere se stessa.

Riti ancestrali, ribaltamento della figura materna, massacro del corpo al limite dello splatter, final girl ipovedente con esplosione di crudeltà finale: Bring Her Back come horror del nostro tempo, che più di Talk To Me instilla la curiosità su cosa i registi faranno domani.