Tre anni dopo This Much I Know to Be True, seconda parte del dittico dedicato a Nick Cave dopo il monumentale One More Time with Feelings (2016), Andrew Dominik si sofferma ora su un altro personaggio carismatico della musica mondiale, Bono Vox, da 50 anni frontman e leader degli U2.

Lo fa immergendosi e immergendoci in Bono: Stories of Surrender, film che cattura lo spirito e l’anima dello show Stories of Surrender: An Evening of Words, Music and Some Mischief (a sua volta basato sul memoir Surrender: 40 canzoni, una storia, pubblicato nel 2022, edito da Mondadori in Italia).

Un tavolino, quattro sedie, Bono (Paul David Hewson all’anagrafe) si racconta sul palco del Beacon Theatre di New York: un flusso di coscienza che parte dall’infanzia a Dublino e arriva fino alla morte del padre (avvenuta nel 2021), intervallato da alcune delle più celebri canzoni della band, dal primo singolo Out of Control (concepito nel 1978, uscito nel 1980 per il lancio dell’irripetibile album d’esordio, Boy) a The Showman, il brano composto per il nuovo EP che uscirà il 30 maggio (in digitale e vinile), completato da Desire e Sunday Bloody Sunday entrambe nella versione live di Stories of Surrender.

Lo stesso giorno il film – ospitato in première come proiezione speciale a Cannes 78 – sarà disponibile su Apple Tv+ e su Apple Vision Pro sarà il primo lungometraggio disponibile in Apple Immersive Video, formato multimediale registrato in 8K con audio spaziale per riprodurre un video a 180 gradi che pone gli spettatori sul palco con Bono e al centro della sua storia.

Bono: Stories of Surrender
Bono: Stories of Surrender

Bono: Stories of Surrender 

(Courtesy of Apple)

Che poi, ancora una volta, è la straordinaria sensazione che si prova di fronte all’opera di Dominik: concettualmente (e giustamente) quest’ultimo è un lavoro lontano anni luce da One More Time with Feelings, progetto quello che cambiò pelle in corso di realizzazione in seguito alla tragedia occorsa a Nick Cave (la morte del figlio adolescente). Con Bono: Stories of Surrender ci troviamo “semplicemente” al cospetto di una performance live che il regista australiano riesce però a sollevare in dimensioni probabilmente non percepibili neanche dagli spettatori presenti in quel momento, dal vivo.

Il bianco e nero che inghiotte e i lampi di luce che squarciano il buio, movimenti di macchina e sovrapposizioni sonore e visuali, Dominik non ci invita semplicemente ad assistere (ascoltare), no, ci obbliga piuttosto – con una naturalezza commovente – a stabilire un contatto empatico di un livello superiore, quasi imparagonabile a quello che solamente l’ars oratoria e il talento canoro di Bono potevano ottenere. 

Così ci sembra sì di essere su quel palco ma anche in tutti i momenti che l’artista rievoca, dalla morte della mamma Iris con lui ancora 14enne (“Mio fratello Norman mi regalò una chitarra, che divenne il mio scudo, la mia arma, la mia confidente”), al difficile rapporto con il padre Bob, passando per gli anni del liceo, dall’incontro con la futura moglie Alison, con David Howell Evans (The Edge), Adam Clayton e Larry Mullen, con i quali di lì a poco formò la band, i ricordi del Live Aid dell’85 e della collaborazione con Pavarotti (“il più grande della storia”), la fede, la guerra civile in Irlanda (e la nascita della pietra miliare Sunday Bloody Sunday), l’arrivo della fama mondiale (con The Joshua Tree, 1987) e come conciliarla mantenendo intatti i propri ideali.

Questo mettersi a nudo, come figlio, padre, marito, attivista e rock-star, questo flusso di parole e musica trova così nello sguardo di Dominik non solo un filtro attraverso cui spostarsi da un palco ad uno schermo ma la chiave per aprire un ulteriore strato di profondità di questo viaggio à rebours toccante e coinvolgente.