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À bras-le-corps
Mentre l'Europa è massacrata da una guerra che la sta riducendo in macerie fisiche e morali, Emma, una quindicenne volenterosa e dotata, lavora presso la famiglia del pastore protestante del villaggio montano della Svizzera.
Il tempo storico è quello della Seconda Guerra Mondiale che non coinvolge direttamente il paese elvetico dichiaratosi neutrale. Ciononostante, gli abitanti dei villaggi di montagna vicini alla frontiera assistono al rimpatrio dei profughi ebrei fuggiti dalla Germania nazista. Impressionata da quelle persone indifese riportate in Germania dove li attende un destino terribile a lei sconosciuto, Emma si confronta con il Pastore che la stima sinceramente. La ritiene diligente, studiosa nonostante gli impegni familiari le impediscano di frequentare la scuola e in particolare quella infermieristica a cui si sente portata.
Ma non può perché deve aiutare il padre rimasto solo dopo l’abbandono della moglie per accudire due sorelline piccole e contribuire alla misera economia della famiglia. In questo contesto, la ragazza subisce una violenza che trasformerà la sua giovane esistenza per sempre.
In À bras-le-corps la regista Marie-Elsa Sgualdo mette in scena la “silenziosa ribellione” di una ragazza che non si intimidisce di fronte a quanti vogliano allentare la sua volontà di emancipazione e autodeterminazione. Ed è la volontà della ragazza, e soprattutto la sua libertà, a essere ripetutamente mortificata. Nonostante emerga per la sua brillante intelligenza, Emma deve sottostare per bisogno alle regole di una comunità rurale in cui vige la moralità e il patriarcato. Rese invisibili, le donne devono essere virtuose e sottomesse agli uomini, soprattutto se appartenenti a famiglie umili. Ma è una moralità ipocrita coperta di perbenismo apparente, fatto di virtù fasulle da mostrare e di sensi di colpa da nascondere, in cui lo scandalo e la vergogna sono le peggiori sventure che possono accadere. Elise, la moglie del pastore, ne è la massima espressione.
À bras-le-corps è una storia di formazione la cui protagonista, nonostante la giovane età, riesce ad affrontare con coraggiosa determinazione le avversità che le si presentano. Vive in un piccolo mondo dove tutto è sotto gli occhi di tutti e dove si è pronti a giudicare, e condannare, quando non si è integrati alle regole dettate dal sistema conformista.
Gli uomini svolgono un ruolo catalizzante nel vissuto della giovane protagonista, ma si tratta di catalizzatori diversificati nelle declinazioni dell’ipocrisia. Il padre, Jean, montanaro integro e silenzioso, dedito al lavoro onesto e alla cura delle figlie, ferito dall’abbandono della moglie che si scopre poi essere stato più un allontanamento subito che voluto, e sotto la pressione della comunità. Louis, il giovane giornalista rampollo di una famiglia benestante che vive in città, moderno e liberale, ma incapace di superare il limite della differenza di classe e soprattutto di assumersi la responsabilità del danno inferto alla ragazza. Paul, il giovane soldato che suona l’organo della cappella, profondamente innamorato di Emma, disposto a sposarla nonostante un figlio che non è suo per salvarla da disonore, ma che non la difende di fronte alle ripetute prepotenze della sua famiglia che l’hanno ridotta in servitù.
E infine Robert, il pastore, che ha compreso il valore e la virtù della ragazza fidandosi e confidandosi con lei, unica a non abbandonarlo quando le sue parole hanno provocato lo scandalo. Con Colette, figlia del pastore e di Helen, Emma condivide una amicizia sincera sin da tenera età; la sincerità, la fiducia e il sostegno, hanno creato per entrambe, e a loro modo, un piccolo limbo di serenità. Emma può contare sull’aiuto della madre Alice che l’accoglie insieme al piccolo nipote e la sostiene sino alla totale emancipazione espressa dalla festa e dall’abbigliamento di donna adulta.
La guerra è il tema di fondo del film e la regista lo lascia sapientemente in secondo piano con le notizie provenienti dalla radio, dando risalto alle dinamiche relazionali della comunità rurale e alle conseguenze che il conflitto ha sugli animi più sensibili come quello di Robert e della protagonista. I due le vivono in modo differente. Mentre la ragazza vorrebbe dedicarsi alla professione di infermiera per venire incontro al dolore delle vittime, il pastore, di fronte agli orrori della guerra, cade nella disperazione e in una profonda crisi di fede. Avverte il tradimento dell’umanità incapace di carità: “La carità è amare e aiutare”.
La sequenza di apertura che ritrae Emma sottoposta alla valutazione delle sue qualità morali, sembra ormai lontana nel tempo. Ma non è del tutto così poiché, camaleonticamente adattatasi ai tempi e alle nuove condizioni sociali, con sfumature o variazioni diverse, la donna rimane sempre imperdonabile di fronte alle regole dettate da una società ancora troppo maschilista, e la sua emancipazione non sarà completa sino a quando continuerà a esistere chi si sente padrone del suo corpo, della sua persona, del suo presente e del suo futuro.
Alla sua prima prova di regista di un lungometraggio nella sezione Spotlight alla Mostra del Cinema di Venezia, Marie-Elsa Sgualdo, con À bras-le-corps (di cui è anche sceneggiatrice insieme a Nadine Lamari) ha saputo restituire e tratteggiare il dramma di un piccolo mondo rappresentativo di una umanità incapace di quella carità che sa voler bene e sa aiutare. E i drammi raccontati dalla cronaca sono prova e specchio di tale incapacità.