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A quarant'anni dalla guerra del Kashmir il Pakistan ha finalmente tolto il veto emesso nel 1965 sull'importazione di film indiani, ottenendo come unico risultato l'impoverimento dell'industria cinematografica nazionale, da cui la conseguente drastica diminuzione del pubblico, del numero delle sale - che dalle 1300 degli anni '70 sono passate alle attuali 270 -, e naturalmente dei film prodotti, sceso a meno di 20 all'anno dai circa 300 di 30 anni fa. Nonostante le proteste di potenti gruppi islamici, strenuamente in contrasto con ogni forma di intrattenimento che generi il mescolarsi di uomini e donne, il governo pakistano ha dato così l'autorizzazione alla proiezione di un classico di Bollywood del 1984 Sohni Mahival (The Legend of Love), e di una super-produzione degli anni '70, Mughal-e-Azam (The Emperor of the Mughals). Un risultato ottenuto dai professionisti dell'industria del cinema pakistano che lottano da anni per salvare la propria cinematografia dall'auto-annientamento, sostenuti dall'entusiasmo di una popolazione che da sempre ha una inclinazione per la cultura indiana e i film made in Bollywood in particolare. Ancora una volta è l'arte a segnare un ulteriore passo in un processo di rappacificazione che, iniziato due anni fa, ha non solamente condotto ad una distensione politica tra i due paesi, ma ha anche riaperto le frontiere autorizzando attori pakistani a lavorare in produzioni indiane, e avviando a nuove possibilità di coproduzioni cinematografiche.