(Cinematografo/Adnkronos) – "Ho dovuto fare un documentario per capire chi era mio padre". A parlare è Toni D'Angelo, regista e figlio di Nino, che all'Adnkronos, racconta la genesi di 'Nino. 18 Giorni'. Il documentario, presentato fuori concorso alla 82esima Mostra del Cinema di Venezia e che andrà nelle sale dal 20 novembre, è un viaggio a due voci per riappropriarsi di un tempo perduto e colmare una distanza nata con il successo.

Il pretesto narrativo sono proprio quei 18 giorni che separano la nascita di Toni dall'abbraccio di suo padre. All'epoca, Nino era a Palermo, travolto da un successo inaspettato con la sua prima sceneggiata, che lo trattenne lontano da casa. Oggi, a distanza di anni, Toni - diventato padre a sua volta - usa la macchina da presa per ripercorrere quel tempo. Segue il padre in tour, ma soprattutto lo riporta nei luoghi delle origini: San Pietro a Patierno, il quartiere di Napoli dove tutto è iniziato, e Casoria, dove è diventato uomo, cantante e padre.

"La cosa più importante è aver scoperto di essere stato uno dei primi a 'rivalutare' Nino D'Angelo", racconta Toni. In qualche modo, "sono stato tra i primi a guardarlo con occhi diversi, prima di tutto con me stesso. Poi, però, quando tutti attorno a me tutti hanno iniziato a rivalutarlo, sono andato in crisi e da lì è nato il bisogno di fare un documentario per capire definitivamente chi era Gaetano prima di diventare Nino, e chi era Nino prima di diventare mio padre". Alla fine, dice, "ho scoperto che c'è una continuità nella vita che ti porta a fare i conti con te stesso e con quello che hai cercato di essere, anche sgomitando".

Nino D'Angelo Toni D'Angelo - Foto Karen Di Paola
Nino D'Angelo Toni D'Angelo - Foto Karen Di Paola
Venezia 82 - Photocall Nino. 18 Giorni

Nino D'Angelo, che sarà l'11 e 12 settembre a piazza del Plebiscito a Napoli per gli ultimi due show del tour, dice: "Lavorare con un figlio è il più grande privilegio che un artista possa avere, al di là di ogni retorica". La dinamica è complessa: "Non stai parlando con un amico, ma con tuo figlio e ci sono cose che a un figlio non diresti mai. Invece, Toni è stato bravo a farmi raccontare anche quello che, forse, non avrei voluto dire".

Un viaggio che si è rivelato un percorso di scoperta reciproca. "Io, per esempio, non sapevo che lui vivesse così male l'essere 'figlio di Nino D'Angelo'", confessa il cantautore. "Non ci avevo mai fatto caso, dico la verità. Forse è stato bravo a nasconderlo. L'ho capito solo con gli anni, attraverso gli altri 'figli di'. E avevano ragione, è difficile". Una conferma, più che una sorpresa, è invece ciò che ha scoperto Toni: "Ho avuto la conferma che per arrivare dove è arrivato lui bisogna lottare. Le cose non arrivano per caso. Puoi avere il più grande talento, ma lui ha sempre lottato e sgomitato. E la cosa che mi piace è che lotta e sgomita tuttora".

Ma quell'etichetta di 'figlio di' è stata davvero un peso? "Mi è pesata per come mi vedevano gli altri, le persone comuni, non nel rapporto con lui. Il problema del 'figlio di' sono gli altri. C'è chi ci si siede sopra e si accontenta, e chi, come me, no. Ho sempre cercato di avere qualcosa da dire come Toni, ed è il motivo per cui faccio il regista. Non è stata una sofferenza, ma il pretesto per ribellarmi al pensiero comune e affermare la mia identità".