The Man from Rome è in Concorso al XXVII Tertio Millennio Film Fest (14-18 novembre – Cinema Nuovo Olimpia – Via in Lucina, 16, Roma). Il film sarà proiettato giovedì 16 novembre alle ore 20:45, introdotto dal regista e dal protagonista Michele Riondino. Per partecipare clicca qui


In cosa crediamo quando crediamo in Dio? I simboli di fede possono essere agenti del miracolo? Sono segni di verità divine o strumenti di macchinazioni ordite dall’uomo per ingannare, in nome di Dio, altri uomini?

È questo il dilemma che è chiamato a sciogliere Padre Filippo (Michele Riondino). Nel suo decennale palmares, una moltitudine di imbrogli smascherati con successo, a tutte le latitudini del globo.

Per questo il Vaticano lo invia a Limburgo, remota, verdeggiante comunità olandese per sciogliere un intrigo spinoso e inquietante: una candida statua della Vergine Maria versa lacrime, infondendo, così, speranza e consolazione ad una cittadina in lutto per un’orrenda strage che si è consumata nella scuola quattro anni prima: tra i banchi e le palestre sono morti in un bagno di sangue undici adolescenti, freddati con il fucile da un loro coetaneo. 

La mattanza è costata la parola a Tèrèse (la nevrile Emma Bading): la pallida adolescente dagli occhi vitrei da quel giorno è stata colpita da afasia, benché sia stata la prima ad accorgersi delle stille di pianto che consolano e anestetizzano tutta la comunità.

Tutti, infatti, anziani e genitori si aggrappano alla Vergine, la venerano, la idolatrano in una teca custodita nella casa della giovane. Non Filippo, il San Tommaso dei due mondi, in bilico tra Roma e l’Olanda, tra abbandono mistico e razionalità chiarificatrice. Un uomo in missione per conto di Dio, ostinato a preservare tramite la logica, la mistica inspiegabile dei miracoli. 

Lavora su questo crinale (fino al paradosso finale) il regista Jaap van Heusden, autore anche della sceneggiatura con Rogier de Blok. E intorno a ciò, indaga i rovesciamenti di senso, la religiosità come collante sociale pur nelle interpretazioni personali di simulacri universali, nei magnetismi di una fede che non si esprime, non si verbalizza, ma si sperimenta fino alle conseguenze fisiche. Una fede che può rovesciarsi in fanatismo consolatorio e pre-critico.

Van Heudsen con una regia lucida e calibrata, fa l’antropologo, registra tendenze, usi, interpretazioni. Osserva, annota e non giudica. Eppure rimane, oltre la meticolosa, dolorosa verifica dei fatti, una zona d’ombra, un coltre di senso inafferrabile, una contraddizione insanabile.

The Man from Rome vacilla di fronte a un sacro che chiede di essere incarnato ancora, dopo duemila anni, a una società che ha bisogno di intercettare, anzi di presentificare un divino che negli occhi, nei gesti, nei traumi dei locali si intreccia fino a confondersi con l’idolatria.

Cartina di tornasole e centro d’ordine del film, infatti, è il percorso di Filippo, freddo testimone del sacro e passionale restitutore del Vero, almeno in principio.

Il prete, nella caduta di certezze, compie il più classico viaggio all’inferno: più si addentra nel mistero della statua stillante, più vede sbriciolarsi intorno a sé certezze e significati della sua missione. L’inquietante incontro con l’enigmatica Tèrèse, infatti, lo consegna, indizio dopo indizio, intervista dopo intervista, al dilemma, a una questione che diventa privata prima che cattolica, a un mistero che, pur sciogliendosi, non si risolve, e non pacifica.

La calibrata recitazione in levare di Riondino, inquieta e sospettosa, immersa nell’algida tavolozza di colori chiari della fotografia (Melle Van Essen), riesce a bilanciare proprio questa diade: incredulità e raziocinio, istinto ed esperienza. Fede e fanatismo.

Senza che le conquista della Verità riesca a unificarla.