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Damiano Michieletto e Tecla Insolia sul set di Primavera
Nell’Ospedale della Pietà, il più grande orfanotrofio nella Venezia del Settecento, le ragazze più brillanti vengono introdotte allo studio della musica e formano un’apprezzata orchestra. Tra queste c’è Cecilia, una virtuosa del violino che ha sempre vissuto lì, esibendosi dietro una grata per i ricchi mecenati dell’istituto. Tutto cambia quando nella sua vita irrompe il nuovo insegnante, Antonio Vivaldi. Prodotto da Indigo e Warner Bros. (che si occupa anche della distribuzione in sala, dal 25 dicembre), Primavera segna l’esordio sul grande schermo di Damiano Michieletto, uno dei più acclamati registi teatrali del mondo: “Il cinema è sempre stato nella mia testa, da quando guardavo western in televisione con il mio papà”.
Cosa la colpiva all’epoca?
Come un’immagine, così potente sullo schermo pur essendo piatta e finta, potesse coinvolgere, riempire una stanza intera, portarti dentro un mondo che non è il tuo, agire nella mente e sullo sguardo. Sognavo di riuscire a fare la stessa cosa. Mi ha sempre affascinato un cinema della fantasia e dell’immaginazione.
Il film nasce da Stabat Mater di Tiziano Scarpa, Premio Strega nel 2007. Perché l’ha scelto per esordire al cinema?
Più che un romanzo, è un lungo monologo interiore, una lettera di Cecilia alla madre mai conosciuta. Con la sceneggiatrice Ludovica Rampoldi abbiamo creato una struttura per quello che è il racconto di una sensazione e di una relazione. Sentivo che c’era una forte affinità. In questi anni ho sempre raccontato storie con la musica, anche questa lo è. Tutto passa attraverso lo sguardo di Cecilia, che non è mai uscita dall’orfanotrofio.


Come si racconta il fuori?
La Pietà è un microcosmo claustrofobico, un conservatorio dove le ragazze devono essere conservate. Il titolo del film gioca ovviamente sul concerto di Vivaldi, ma si riferisce soprattutto a ciò che si smuove dentro la protagonista: la scoperta della natura innesca conseguenze inaspettate. Perché Cecilia si illude di essere libera, si sente manipolata, costretta a sottostare alle decisioni altrui.
E Venezia?
La conosco bene, per me non è una cartolina, la capitale del turismo, un posto dove ci si mette in mostra. La volevo più semplice, sporca, schietta, senza fronzoli. Ho pensato a un macellaio che butta il sangue nel canale. Il personaggio di Cecilia riecheggia nei percorsi d’emancipazione delle ragazze d’oggi.
Che tipo è Vivaldi?
È un’anima inquieta, affetta una malattia interiore. Cerca di dare un senso alla sua arte, è consapevole di possedere un talento ma non si sente riconosciuto, ha bisogno di trovare una voce che giustifichi l’atto creativo. Un uomo sfortunato: morto in miseria, seppellito in una fossa comune, dimenticato da tutti, riscoperto per caso due secoli dopo.


Il tema del sacro è centrale.
Prima del film consideravo Vivaldi un autore da intrattenimento, legato al folklore veneziano. Ora ho scoperto che mi piace la sua musica sacra. C’è una forte rabbia in quest’uomo, che a quattordici anni fu obbligato dalla madre a farsi prete. La sua anima non trova appagamento né umano né sessuale, vive una tensione religiosa che diventa atto creativo. Nell’impossibilità di scegliere c’è la sua affinità con Cecilia. Non è una storia d’amore. Tutto è sublimato dall’incontro con la musica, come se Cecilia e Vivaldi fossero corde di uno strumento. Anche l’invidia è determinante, che affiora quando Vivaldi – che non è un eroe – si accorge che gli occhi del pubblico sono tutti su Cecilia. Se a un artista togli l’attenzione, gli togli tutto.
C’è una riflessione sul rapporto tra musica e soldi.
In tutta la storia dell’arte c’è una spinta economica. Compreso il cinema, un mezzo complesso che richiede uno sforzo. Scegliere quale progetto finanziare è una responsabilità. È importante che gli investimenti, sia pubblici che privati, siano destinati a storie che abbiano qualità estetica e vogliano dialogare con il pubblico.


Com’è stato il rapporto con Michele Riondino e Tecla Insolia?
Mi piace lavorare sul set, prepararsi è fondamentale ma amo navigare a vista, improvvisare. Con Michele ci conosciamo da tempo. Di Tecla mi ha colpito l’immediatezza. Sono contento di aver formato questa coppia inedita dentro un gruppo così affiatato (nel cast anche Andrea Pennacchi, Fabrizia Sacchi, Stefano Accorsi, ndr). È la loro freschezza ad aver evitato che un film con questi elementi risultasse pesante.
Presentato a Toronto, Primavera ha vinto il premio del pubblico a Chicago.
Credo sia un film onesto, senza un linguaggio sofisticato, che restituisce un’immagine con un forte gusto estetico. Sono contento stia intercettando spettatori internazionali, molti sono convinti che avessimo a disposizione un budget stellare. Non è stato così, ma mi colpisce.



