Che cos’è un’eggregora? Secondo la sua definizione, è “un’entità collettiva immateriale generata dall’energia mentale, emotiva e intenzionale condivisa da un gruppo di persone. Non si limita a essere la somma delle singole intenzioni individuali, ma assume una forma propria, influenzando in modo autonomo il comportamento, le decisioni e la coesione dei membri del gruppo, come una sorta di coscienza collettiva”.

Quando ho assistito, di recente, al montare della polemica sull’origine umana o meno del cortometraggio The Eggregores’ Theory di Andrea Gatopoulos – già candidato ai David di Donatello – la sensazione che ho avuto è stata, paradossalmente, quella di assistere alla nascita di un’eggregora. Una credenza condivisa ed energetica, alimentata da un gruppo, capace di condizionare pensieri e opinioni, fino a distorcere la percezione collettiva della realtà.

The Eggregores’ Theory è, a mio avviso, uno dei cortometraggi italiani più interessanti degli ultimi anni. Racconta una realtà distopica in cui una misteriosa e letale malattia si diffonde attraverso l'uso della parola, portando la società a temere e rifuggire il linguaggio stesso. Da qui, la deriva: il divieto di leggere, scrivere, comunicare, fino alla distruzione sistematica dei libri, degli archivi, della memoria.

The Eggregores' Theory
The Eggregores' Theory

The Eggregores' Theory

Un viaggio al termine della notte, contraddistinto da un crescente esercizio del controllo e della manipolazione, pervasiva e volta alla creazione di un perenne stato di crisi e allarme. Il punto di vista della narrazione in tutto ciò è però personale, soggettivo: quello di un individuo che a posteriori, quando tutto è ormai irrimediabilmente compromesso, ripercorre le fasi della degenerazione sociale nel tentativo vano di ricostruire una relazione d’amore perduta. Il ricorso a una narrazione privata, incastonata in una cornice pubblica e collettiva, è uno dei primi motivi per cui considero il lavoro di Gatopoulos profondamente significativo.

Il film riesce infatti, da un lato, a raccontare le criticità che avvolgono e strutturano la nostra società contemporanea attraverso l’uso di un canone narrativo come la distopia - riflettendo sul linguaggio a livello mediatico e politico. Dall’altro lato, lo fa da un punto di vista intimo, soggettivo, lasciando emergere il discorso affettivo e individuale. È nel dialogo costante tra questi due piani che l’opera costruisce la sua tensione: oggetto e soggetto si confrontano e si contaminano, e proprio attraverso questo dispositivo è possibile raccontare non solo la distorsione del reale, ma anche quella della memoria, tanto personale quanto collettiva, deformata da una narrazione dominante che prova a imporsi come assoluta. Questa riflessione si amplifica nella forma stessa del film.

The Eggregores' Theory
The Eggregores' Theory

The Eggregores' Theory

The Eggregores’ Theory è un fotoromanzo composto interamente da immagini generate tramite una versione obsoleta di MidJourney, un programma di intelligenza artificiale. Non si è però davanti a un esercizio estetico; le immagini non rassicurano, non seducono. Sono bug visivi, frammenti instabili, colmi organicamente di storpiature e incongruenze. Sono unglitch, a sequenza di un archivio digitale alterato, costruito a partire da un immaginario collettivo appreso, assorbito e distorto algoritmicamente. Il film lavora esattamente sul limite tecnico, sull’errore, ne fa il proprio linguaggio, la propria poetica.

L’intelligenza artificiale non è dunque utilizzato come uno strumento mimetico, ma come un mezzo critico. Gatopoulos esplora l’imperfezione, lo scarto, e così facendo si avvicina alle grandi avanguardie, al cinema-saggio, al cinema che riflette su se stesso. Viene naturale pensare a La Jetée di Chris Marker: non solo per la forma del fotoromanzo, ma per la stessa meditazione sul tempo, sull’identità, sulla perdita. Chi oggi attacca questo lavoro – e più in generale l’uso dell’AI nel cinema – lo fa spesso con leggerezza. Dimenticando che l’arte è sempre stata ibridazione, mutazione, rischio.

Certo, servono tutele nuove, strumenti giuridici aggiornati, un’educazione rinnovata all’immagine. Ma demonizzare lo strumento in sé e per sé significa ignorare una delle rivoluzioni culturali più profonde del nostro tempo. The Eggregores’ Theory non glorifica l’algoritmo: lo interroga, ne espone le criticità. Non è un’opera rassicurante, e non vuole esserlo. Gatopoulos conosce la materia che maneggia: sa cogliere il potenziale, ma anche il confine.

The Eggregores' Theory
The Eggregores' Theory

The Eggregores' Theory

È proprio in questa consapevolezza che il film trova la sua forza più grande: The Eggregores’ Theory è una riflessione su ciò che ci rende umani. Sul rischio che, perdendo la memoria e il linguaggio, si perda anche la capacità di sentire. Il protagonista tenta, attraverso il racconto, di ritrovare un amore scomparso, ma incontra solo simulacri, frammenti, immagini distorte. In quel gesto fragile e disperato – ma anche lucidissimo – c’è tutta la potenza del cinema. Un cinema che non spiega, ma sente. Che non rappresenta, ma evoca.

“Tanto gentil e tanto onesta pare”, scrive Dante parlando di Beatrice. In quel "pare" risiede il significato stesso del fare arte. Significa "appare", "si manifesta", ma presuppone anche una sembianza, non necessariamente un’essenza, prevede uno sguardo. È uno scarto semantico minimo ma abissale. L'immagine e la creazione artistica non è mai certezza ma crepa, fenditura, discontinuità. E proprio nell’indagine di quella crepa, nella creazione di un proprio punto di vista al riguardo, si colloca da sempre la grande arte e il miglior cinema.

The Eggregores' Theory di Gatopoulos in definitiva fa questo: indaga la frattura tra ciò che è e ciò che appare, con coraggio, lucidità, ma soprattutto con una profonda, irriducibile umanità.


Tommaso Santambrogio è regista e docente di cinema. Ha collaborato con diversi autori di fama internazionale, come Werner Herzog e Lav Diaz. I suoi primi cortometraggi (Escena Final e Los Océanos Son Los Verdaderos Continentes) sono entrambi stati presentati alla 76. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, per poi essere selezionati in alcuni dei festival più importanti del mondo; il corto L’ultimo spegne la luce è stato presentato in competizione ufficiale alla 36a Settimana Internazionale della Critica del festival di Venezia, ed è stato candidato come miglior cortometraggio ai David di Donatello 2022. Taxibol, suo ultimo lavoro a cavallo tra finzione e documentario, è stato presentato in anteprima a Visions du Réel e al Telluride Film Festival, e in concorso al 64° Festival dei Popoli. Il suo primo lungometraggio, Gli oceani sono i veri continenti è stato presentato in première mondiale in concorso alle Giornate degli Autori a Venezia, per poi prendere parte ad alcuni dei più importanti festival del mondo vincendo numerosi premi.