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Alberto Barbera (Credits Giorgio Zucchiatti La Biennale di Venezia - Foto ASAC)
Intervento del direttore della 82. Mostra del Cinema di Venezia Alberto Barbera: “In un anno nel quale a prevalere nel cinema mondiale sono, ancora una volta, la confusione e l’instabilità, è forse utile tornare ai fondamentali come quelli contenuti nelle citazioni che compongono l’esergo di questa introduzione. La confusione è il frutto dei processi di innovazione e trasformazione che, senza sosta, investono l’intero sistema produttivo e distributivo di un’industria apparentemente in debito d’ossigeno. L’instabilità è invece la conseguenza della perdita dei consueti punti di riferimento che, imprevedibilmente e assai rapidamente, vengono sostituiti da altri, il cui destino sembra comunque quello di non poter resistere troppo a lungo. Il ritorno stentato del pubblico in sala, il predominio delle piattaforme, la moltiplicazione del numero di film annualmente realizzati a scapito della qualità complessiva - mentre su tutto l’apparato produttivo e distributivo incombe l’Intelligenza Artificiale con il suo carico di ansia e preoccupazioni solo parzialmente giustificate – sono elementi sin troppo noti per soffermarcisi ulteriormente.
Ma, poi, alla fine, ciò che conta davvero per noi sono i film che continuano ad esercitare un fascino innegabile e un richiamo al quale un numero crescente di giovani spettatori rispondono appassionatamente. Le nuove generazioni di frequentatori di festival (destinati a sostituire la pigrizia degli assidui di un tempo), sono mossi dalla stessa curiosità e attaccamento che avevamo noi quando, alcuni decenni fa, muovevamo alla scoperta dei non molti festival cinematografici alla nostra portata di allora.
A dispetto dei molti cantori della morte del cinema e della gran quantità di prodotti (a stento definibili ‘film’) di scarso o nullo interesse, sono molte le opere che testimoniano della inesausta capacità dalla settima arte di alimentare senza sosta il nostro desiderio di cinema. La scoperta di nuovi talenti e la conferma dell’inesauribile creatività dei vecchi maestri vanno a braccetto con la consapevolezza che l’estetica e il linguaggio del cinema contemporaneo hanno da tempo esteso i limiti del rappresentabile, sino a poco tempo fa ritenuti invalicabili.
Anche quest’anno, la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia propone una serie di film in prima mondiale in grado di accompagnarci in quel viaggio verso l’ignoto che contempla l’epifania di un nuovo autore, o la scoperta di un film capace di scatenare emozioni inattese. Un viaggio all’insegna dell’euforia, per dirla con William Friedkin, consapevole che nulla è più emozionante della scoperta di aspetti della condizione umana che credevamo di ignorare. Ma se, come ci ricorda Rivette, il cinema è fatto della stessa materia dei sogni, non di rado questi assumono la forma e la sostanza degli incubi notturni, alimentati dalle immagini terribili che di giorno ci piovono addosso da ogni parte. Mai come in questi anni, il cinema è tornato ad essere lo specchio del presente, l’invito alla riflessione sui temi della contemporaneità, la cartina di tornasole del reale e dei suoi irrisolti conflitti.
Senza la pretesa di fornire risposte a problemi la cui complessità si sottrae all’illusione di facili soluzioni, i film di questa Mostra inducono a un atteggiamento di scoperta, offrono punti di vista articolati e a volte contradditori, rimandano senza sosta all’irriducibile ricchezza dell’esperienza umana e all’opacità della condizione individuale, sociale e politica in cui ci troviamo immersi. A differenza della maggior parte dei mezzi di comunicazione cui abbiamo quotidianamente accesso - il cui inconfessato obbiettivo sembra essere quello di tranquillizzare e sopire il lettore/spettatore (anche quando sembrano cavalcare le polemiche e alimentare i conflitti) – il cinema non propone soluzioni, non fornisce risposte, non mira a renderci la vita più facile: per dirla con Borges, offre solo perplessità, semina dubbi, nutre interrogativi.
A suo modo, è una forma di violenza (ancora Rivette) che ci allontana a forza dalla routine quotidiana, ci costringe ad uscire dalla comfort zone affannosamente costruita, ci investe con immagini e racconti disturbanti che ci interrogano. Ma è una violenza che aspira a una forma di conoscenza superiore, che si fa interprete della necessità di acquisire una consapevolezza maggiore delle cose, di noi stessi e del mondo che ci circonda. Senza per questo rinunciare a fare spettacolo, a costruire narrazioni, ad alimentare i nostri sogni e i nostri desideri. Se il cinema è morto, allora viva il cinema”.