Le assaggiatrici è tratto dall’omonimo romanzo di Rosella Postorino. Racconta una vicenda quasi inedita: la quotidianità delle assaggiatrici di Hitler. Si recavano nella Tana del Lupo per capire se i pasti fossero avvelenati, rischiavano ogni giorno di morire. Silvio Soldini ha diretto il film, ed è ospite alla sesta edizione del Lecco Film Fest. “Mi hanno contattato Lionello Cerri e Ilaria Mainardi. Il libro mi ha colpito molto. Ho sempre avuto dei timori nel realizzare un film in costume. È pieno di insidie. Il rischio è di non convincere lo spettatore, di non fargli credere fino in fondo in quello che sta guardando. Il pericolo è di perdere la verità. Ma non è stato così, la storia era davvero forte”.

Come avete lavorato per rendere il progetto credibile?

Prima di tutto abbiamo girato in tedesco. Il casting è stato minuzioso. Abbiamo subito uno stop a causa del Covid. Ma poi ce l’abbiamo fatta, selezionando le sette protagoniste. Abbiamo collaborato per immedesimarci tutti in quel periodo storico. Volevo che le attrici non si conoscessero tra loro, che formassero un gruppo solo sul set. Abbiamo provato tanto. Sono diventate affiatate: è stato fondamentale.

Conosceva questa storia?

Sì, ma non avevo mai letto il romanzo. Ancora oggi ci sono dei dubbi, non si sa se sia accaduto realmente. Credo che gli assaggiatori comunque esistano in ogni dittatura, magari anche adesso. Per quanto riguarda il contesto, non siamo così lontani dall’attualità. L’oppressione, la violenza e la guerra sono i mali del nostro tempo. Viviamo in un periodo buio, pieno di costrizioni e oppressione sugli indifesi. Il panorama intorno a noi è in continuo mutamento. Le nazioni si combattono in modo assurdo. Dovremmo fermarci.

Questo è un film al femminile.

Mi piacciono le storie in cui sono le donne a essere protagoniste. Purtroppo la prevalenza al cinema è maschile. Serve quindi un bilanciamento, mostrando sullo schermo personaggi femminili ricchi di sfumature. Stiamo migliorando, ma non basta. Poi attraversiamo un momento di transizione. Se guardiamo solo i numeri, gli scenari sono preoccupanti. Ma da un punto di vista qualitativo stiamo facendo enormi passi avanti.

È vero che sta lavorando a una commedia?

Sì, quindi la notizia è già trapelata (ride, ndr). Non posso dire però molto. Dopo due film drammatici mi sembrava bello tornare a note più leggere, a far ridere. L’ho capito quando ho fatto Pane e tulipani: serve l’ironia. Però amo anche i documentari. La novità è quello che tiene vivo un regista, attraverso sfide diverse. Altrimenti si appassisce.