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Ottavia Piccolo
Come si fa a non amare Ottavia Piccolo? “Un mio amico dice che sono nel DNA negli italiani. Sono in giro da più di sessant’anni. E non vi liberete facilmente di me!”. E chi vorrebbe liberarsi mai di un’attrice autorevole e ironica, carismatica e affabile come questa signora che calca i palchi dal 1960, quando a undici anni fu scelta per il ruolo Helen in Anna dei miracoli, per la regia di Luigi Squarzina e accanto alla già monumentale Anna Proclemer: “Andò come in Bellissima, il film di Luchino Visconti. Mia mamma amava il teatro senza esserci mai stata, mi portò al provino e mi presero. Non è che avessi chissà che talento, però mi piaceva esibirmi”.
Talento, in realtà, ce n’era già, tant’è che tre anni dopo è sul primo set cinematografico proprio con Visconti: “Sono entrata nella storia del cinema senza particolare merito – dice modestamente Piccolo – nel ruolo della figlia del Principe di Salina nel Gattopardo. Non avevo mai visto un set, fu come entrare in un grande circo guidato da un direttore severo ed esigente che aveva ben cinque aiuto registi. Oggi il cinema si fa con poco, all’epoca era gigantesco”. Con Alain Delon, il Tancredi del Gattopardo, altri due incontri: “Ci siamo ritrovati per L’evaso – ricorda – che è un bellissimo film francese ispirato a un romanzo di Georges Simenon, c’era anche Simone Signoret. E poi per Zorro, dove indossava la famosa mascherina ma ricordava al direttore della fotografia di fare attenzione a far esaltare i suoi occhi azzurri. ‘Io con questi ci campo’, diceva”.
Decisivo l’incontro con Mauro Bolognini, prima Madamigella di Maupin (“Ma non lo ricorda nessuno, la protagonista era Catherine Spaak”) e poi in Metello: “Durante le riprese avevo la sensazione che stessimo facendo qualcosa di bello. Io lo chiamo ‘il film del brufolo’ perché io e Massimo Ranieri eravamo adolescenti e pieni di brufoli, ogni giorno ce ne spuntava uno sul viso. Con lui siamo rimasti vicini negli anni, abbiamo fatto un altro film di Bolognini, Bubu, e una tournée teatrale con il musical Barnum”.
Per Metello, Ottavia Piccolo vinse il Prix d’interprétation féminine al Festival di Cannes: “Più che brava ero giusta per il ruolo. Quell’anno c’erano altre attrici con più esperienza, secondo me mi hanno premiato per non scontentare loro. L’ufficio stampa mi chiamò per dirmi di andare a Cannes a ritirare un premio assegnato al film: stavo a Parigi per l’Orlando Furioso di Luca Ronconi, ero la più vicina alla Croissete. Quando ho scoperto che il premio l’avevo vinto io, non ci volevo credere. Non me l’aspettavo, non avevo nemmeno i vestiti adatti. Purtroppo la Palma me l’hanno rubata, mi restano una pergamena, un vaso e i ricordi”.
In una carriera cinematografica piena di incontri, da Ettore Scola a Claude Sautet fino a Margarethe von Trotta, il grande amore resta il teatro: “Al Piccolo di Milano con Giorgio Strehler ho fatto prima Le baruffe chiozzotte, uno spettacolo meraviglioso, e poi Re Lear. Trecentosessantacinque repliche per quattro stagioni, un periodo in cui è successo di tutto: ho perso i miei genitori, mi sono sposata, è nato mio figlio. Il teatro è il mio binario principale”. E anche quando torna al cinema (purtroppo sempre più raramente), c’è il palcoscenico all’origine: “7 minuti è nato sul palco. Tutte noi attrici eravamo convinte che fosse fondamentale parlare della rappresentatività attraverso un confronto generazionale. Poi Michele Placido ne ha fatto un film prodotto da Federica Luna Vincenti (anche lei presente al festival, ndr)”.
Spettatrice onnivora (“Vado sempre al cinema. Ho visto Fuori, è bellissimo”) con le idee chiare (“Non bisogna avere paura della serialità, prima o poi lo capiranno pure a Cannes”) e sempre dalla parte giusta (“Le registe e le produttrici devono continuare a rompere il tetto di cristallo”), Piccolo vive al Lido di Venezia, dove “c’è un rapporto umano, quando io e mio marito non andiamo nella nostra pasticceria di fiducia ci chiamano a casa per chiederci come stiamo”. E dove ha collaborato al Le Farfalle della Giudecca, documentario di Luigi Ceccarelli e Rosa Galantino ambientato nella Casa di reclusione femminile di Venezia, oggi scenario di un importante progetto di recupero: “È fondamentale preoccuparsi per le comunità, aiutarle a guardarsi attorno. Io faccio da guida in un posto difficile ma che offre un’occasione di speranza. Anche Mattarella ha ricordato cosa avviene nelle carceri, noi sembra che ce ne accorgiamo solo quando c’è una tragedia”.