Su Adolescence, miniserie Netflix di ultima generazione, si è detto più o meno tutto, attingendo al riciclo compulsivo di opinioni random venate di tecnicismi in salsa influencer il cui parossismo mediatico nega per sua natura il tempo necessario a una macerazione consapevole del senso critico. La produzione cult innesta con una certa maestria il pathos del crime morboso nell'ambito teen drama da melting pot di provincia anglosassone e deve parte del suo racconto agli effetti devastanti di un utilizzo social deviato estremamente comune, strumento d’elezione che ridisegna la mappa in costante mutazione di nuove accezioni della vittima e del carnefice da cui nessuno può considerarsi immune.

Per un curioso contrappasso questa versione tossica di web relazionale è il primo movente che ispira la neo dialettica del commento digitale, prodotto filastrocca tarato perlopiù sul trend del clic, infettato non di rado dall'ansia etica che accomuna ipocrisia borghese e populismo tranchant, generosa di ricette moralistiche e soluzioni facili secondo cui la colpa è degli altri, della società, portato di questa o quella falla istituzionale. Somme sommarie di una matematica sociale social priva di sostanza, buona per i talk show, che un diaframma impenetrabile, l'assenso di massa, protegge dalla introspezione a favore della autoaffermazione individuale e istantanea.

Cr. Courtesy of Netflix © 2024
Cr. Courtesy of Netflix © 2024
Adolescence. (L to R) Stephen Graham as Eddie Miller, Owen Cooper as Jamie Miller, in Adolescence. Cr. Courtesy of Netflix © 2024 (Courtesy of Netflix )

In Adolescence l’utilizzo delle emoticon, cifrato nell'alibi generazionale di turno, dissimula aggressività feroce e volontà di sopraffazione senza scrupoli parassitando la apparente innocenza infantile dei simboli. Una mimesi velenosa, veicolo di velleità egoriferite incontrollabili che spingono a manipolare qualunque contenuto pur di apparire, prima degli altri, sopra gli altri, da non confondere con le cause del dramma.

Lo specchio abnorme in stile daily working class di Adolescence riflette nelle sue molteplici e sfaccettate distorsioni il circo mediatico che reagisce alla visione stracciandosi le vesti o recitando solidarietà di maniera, mentre si muove sulle stesse direttrici ingombranti che fanno da corollario attivo al crimine compiuto da Jamie Miller, la cui rappresentazione è permanentemente in bilico tra la sublimazione in entità del male e una commovente inconsapevolezza infantile incolpevole scossa da pulsioni che non è in grado di dominare.

Il pregio della serie, che rimane comunque un prodotto eminentemente commerciale, è tentare una inversione di tendenza rispetto alle omologazioni narrative correnti. Regia e sceneggiatura si sintonizzano sulla frequenza inconsueta di una rarefazione intermittente del racconto che si serve di soggettive prolungate, ammiccamenti efficaci alla filmografia di rango, regalando emozioni inedite che chiedono tempo, un difetto imperdonabile per la vulgata popolare dalla digestione facile e avida di immagini e colpi di scena il cui vuoto è proporzionale alla intensità dell'azione.

Adolescence. Amelié Pease as Lisa Miller in Adolescence. Cr. Courtesy of Netflix © 2024
Adolescence. Amelié Pease as Lisa Miller in Adolescence. Cr. Courtesy of Netflix © 2024
Adolescence. Amelié Pease as Lisa Miller in Adolescence. Cr. Courtesy of Netflix © 2024 (Courtesy of Netflix )

Il thriller scritto da Stephen Graham e Jack Thorne è un invito a fermare i giochi, destituendo del primato le disamine sociali e il perbenismo politicamente corretto per scendere là dove ogni logica sembra perdersi in un non senso cui l'umanità è legata a doppio filo, per ragioni imperscrutabili. Il laborioso snodarsi della storia evidenzia una sostanziale insignificanza delle ragioni storico ambientali la cui concomitanza è del tutto accessoria al mistero di un accadimento di fatto inevitabile e del tutto impenetrabile. La incapacità del padre detective di comunicare con le modalità social del figlio o le carenze pedagogiche del sistema educativo da attribuire alle responsabilità di scuola e genitori sono il lollipop candy aneddotico per chi non coglie la valenza destabilizzante di un fato incomprensibile che trova la sua strada qualunque sia il contesto.

La serie propone di sostituire alle analisi di sorta una contemplazione dolorosa e impotente sconosciuta al determinismo ipocrita sociale di maniera. Il climax si raggiunge nel confronto tra il ragazzo-bambino-entità e la psicologa di turno, sufficientemente distante dai noiosi modelli efficientisti e scolastici della ragioneria welfare. Non si tratta delle battute e del loro contenuto. Si tratta della ritmica. La dinamica dei dialoghi e delle inquadrature permette di penetrare una ambiguità del male disorientante e perfettamente concreta nelle fattezze comuni e inattese che assume, capace di rigenerarci e annientarci mentre ci affanniamo a commentare, a catechizzare, a distribuire ricette inutili. Per primi, primi a non comprendere.