“Avevamo sentito un grande affetto intorno al film in questi mesi, per cui c’era la speranza di un’affermazione, magari non in questi termini. La gioia più grande è stata quella di aver ottenuto premi in categorie, come il suono e la fotografia, dove i capireparto sono persone non abituali del nostro cinema”.

All’indomani della storica vittoria di Vermiglio ai David di Donatello – 7 riconoscimenti, miglior film, regia, sceneggiatura originale, produttore, autore della fotografia (Mikhail Krichman), casting (Stefania Rodà, Maurilio Mangano), suono (Dana Farzanehpour, Hervé Guyader, Emmanuel de Boissieu) –, storica non foss’altro perché segna la prima affermazione di una donna regista (alla 70ma edizione del premio), Maura Delpero si dice convinta che in termini di parità di genere, “discorso che comunque nasconde sempre molte insidie e che va considerato transeunte”, le cose “possono veramente cambiare, stanno cambiando e l’obiettivo è non accorgersene più, non doverne parlare più: sono convinta che le mie nipoti un domani non si accorgeranno più che ci saranno 3 donne su 5 candidati in una cinquina per la migliore regia. Non dobbiamo fare passi indietro, sono sempre dietro l’angolo. Per me, rispetto magari alle colleghe del passato, non è stato facile non tanto perché donna piuttosto perché periferica: se fossi nata in una ricca famiglia di cinema, a Roma, forse sarebbe stato più semplice”.

Dopo l’affermazione alla Mostra di Venezia (Gran Premio della Giuria) e la cinquina sfiorata agli Academy Awards (era il titolo che rappresentava l’Italia per la corsa al miglior film internazionale), Vermiglio – film ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale – ha ribadito anche ieri sera, durante la cerimonia di premiazione dei David (serata in cui anche altri premiati, come Margherita Vicario e Elio Germano, hanno speso parole sul mondo “fuori”) , la sua forte connotazione antimilitarista, tematica quantomai attuale per un periodo storico come quello che stiamo vivendo: “Sono contro l’opinionismo e la tuttologia, in questi mesi sono stata un po’ più esposta e mi sono state chieste cose stranissime, di andare a parlare di cose dove credo ci sia gente con una conoscenza maggiore della mia. È vero però che come artisti dobbiamo prenderci delle responsabilità, e va fatto con pertinenza, sensibilità. Che Vermiglio fosse un film antimilitarista lo avevo già scritto nelle note di intenzione, quindi non è una cosa che ho detto ieri a mo’ di slogan. Ieri sera c’è stata una volontà di non chiuderci in una bolla, ma allo stesso tempo di non metterci a chiacchierare su tutto”. E sul film aggiunge: “Quello che avevo più a cuore era capire come poter raccontare una guerra evitando quella sorta di adrenalina subliminale che a volte disseminiamo nei racconti bellici. Ci sono uomini rotti che tornano, vuoti, senza parole: ‘La guerra rende stupidi tutti gli uomini’, dice a un certo punto la zia nel film. La mia provocazione d’autrice è quella che se fossimo un po’ più codardi anziché ‘coraggiosi’ magari ci sarebbero meno guerre. Ed è una responsabilità che come autrici, come autori, ci dobbiamo prendere, quella di ragionare sul modo in cui raccontare certe tematiche come quella della guerra”.

Prodotto da Cinedora, Charades, Versus e Rai Cinema, distribuito da Lucky Red, Vermiglio non ha avuto una lavorazione semplicissima: “Venivo da una situazione un po’ più felice rispetto ad altre colleghe o colleghi, il mio film precedente, Maternal, seppur girato in Argentina e parlato in spagnolo, ha avuto la fortuna di girare per i più grandi festival del mondo. C’era fiducia quindi, non abbiamo avuto tanti ‘no’ rotondi per realizzare il nuovo film, però ci veniva fatto capire che senza uno star system non era facile: è stata una grande fatica, il film si poteva fare, lo abbiamo fatto, ma sempre dovendo fare i conti con il rischio di poter perdere parecchio in qualità”.

È anche per questo, dunque, che film come Vermiglio “vanno sostenuti: il fondo pubblico è una garanzia nel tempo, il percorso di un artista non è solo quello del successo. Mi è capitato di vedere colleghi portati in alto e poi abbandonati, lasciati a loro stessi. Questo è un lavoro che deve essere valutato e sostenuto nel tempo, è un arte in primo luogo. Se vogliamo sostenere un’industria nazionale dobbiamo continuare a sostenere gli artisti in un percorso difficile”, dice ancora la regista.

Che non dimentica il suo percorso, iniziato una ventina d’anni fa, caratterizzato dal cinema documentario: “Non è che sono caduta dal cielo, è stato un cammino in salita come quello di un piccolo mulo. Ho iniziato dal nulla assoluto, ho fatto un sacco di errori e ci ho messo un sacco di tempo, ma questo mi ha permesso di sperimentare e trovare il mio linguaggio. Il cinema documentario è una palestra, certo, ma non dobbiamo commettere l’errore di relegarlo solo ad un passaggio. Ieri sera il mio montatore (Luca Mattei, ndr) non lo conosceva nessuno, viene dalle arti visive, ci sono stati anni in cui il cinema sembrava essere molto autoreferenziale, oggi non è più così, è una continua commistione di altre arti, altri percorsi”.

Tommaso Ragno in Vermiglio
Tommaso Ragno in Vermiglio

Tommaso Ragno in Vermiglio

Ma non necessariamente una sfida a chi ottiene più riconoscimenti, pensando soprattutto a film come Parthenope di Paolo Sorrentino, zero statuette su 15 nomination: “Non provo nulla rispetto a questo confronto, Paolo (Sorrentino, ndr) ha vinto tantissimi David e tanti altri ne vincerà, non avevo nessuna sensazione di affermarmi rispetto ad altri, ieri mi è sembrato di vedere che ci fosse una vita nel cinema italiano”.

Per l’immediato futuro, infine, Delpero svela che sta “rifiutando molte cose, anche con un po’ di preoccupazione. La cosa difficile ora sarà ritrovare la mia solitudine, la concentrazione. Vorrei che questo fosse un coronamento che mi permettesse di girare pagina per valutare altri possibili scenari: non sono chiusa a progetti scritti da altri anche se per me non è semplice. La vera domanda è capire se sono in grado di portare avanti contemporaneamente progetti miei e altre cose più dissimili dal mio modo di vedere il cinema. Quello che cerco è una connessione, anche con cose lontane da me”.