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Maura Delpero e Margherita Vicario
1. Maura Delpero nella storia
Annunciando la vittoria di Kathryn Bigelow, prima donna a ricevere l’Oscar per la regia nel 2010, Barbra Streisand disse solennemente: “The time has come”. Noi siamo stati più discreti, diciamo, ma, insomma, è giunto il momento anche per i David di Donatello. Nella prima cinquina a prevalenza femminile (tre registe su cinque), Delpero con Vermiglio sbaraglia la concorrenza e non fa niente per non farsi ammirare: rivendica l’indipendenza contro l'omologazione del linguaggio, l’adesione al cinema del reale, la vocazione antimilitarista. Gli Oscar hanno premiato una regista all'edizione numero 82, almeno i David ci sono arrivati alla settantesima. Per inciso: Delpero ha conquistato quattro statuette personali (film, regia, sceneggiatura originale, produzione).


Maura Delpero
(Karen Di Paola)2. Paolo Sorrentino, the ex pope
Curioso il destino di Parthenope. Entrato papa nel piccolo conclave per designare il candidato italiano agli Oscar, è uscito cardinale subendo l’ascesa di Vermiglio. Bistrattato a livello internazionale, è diventato il maggiore successo commerciale del regista al botteghino italiano. Frontrunner dell’annata con ben 15 candidature, torna a casa senza statuette. Anzi: Sorrentino, assente alla cerimonia, non si è mai spostato da casa. Forse era già tutto previsto, il sentimento del tempo era chiaro, ma il tonfo non ha eguali nella storia dei David: che il venerato maestro sia retrocesso a solito str**zo? (Per quel che vale: Parthenope non meritava questo snobismo).


3. Valeria Bruni Tedeschi e l’arte di ringraziare
Fuoriclasse assoluta, VBT si conferma dinamite pura quando si tratta di discorsi di ringraziamento. Dopo quello memorabile ai David del 2017, la nostra musa si è lanciata in un altro speech d'antologia ricevendo il premio come miglior attrice non protagonista per L’arte della gioia: “Forse sono stata premiata anche perché ho fatto un personaggio più vecchio di me, forse è stata una prova di coraggio… Ho chiesto a Valeria (Golino, la regista, ndr) di poter fare dei provini, perché per un’attrice accettare un simile ruolo è una sfida. Ringrazio Maurizietto (dovrebbe essere il truccatore, Maurizio Fazzini, ndr) che la mattina mi faceva le rughe, i prostetici… un grande lavoro! La sera, nella roulotte, tornavo me stessa. Un giorno mi sono guardata allo specchio e ho detto: ‘Maurizietto, toglimi tutto!’. Lui, disarmato, mi ha risposto: ‘L’ho già fatto’. A quel punto ho pensato che forse non c’era stato tutto questo lavoro di trasformazione… e quindi magari questo premio non è del tutto meritato. Valeria? Non so se è una sorella, un’amica, un mio doppio… Spero che passeremo insieme tutta la vita. Sarebbe il massimo della gioia”. Giganteggiare.


Valeria Bruni Tedeschi, Valeria Golino, Tecla Insolia
(Karen Di Paola)4. Timothée Chalamet ovvero saper stare al mondo, nonostante il mondo
Era l’ospite più atteso e forse inaspettato, presente per il piacere di esserci e non per chissà quali doveri di promozione, accompagnato dalla fidanzata, la star globale Kylie Jenner. Ma i pochi minuti che l’hanno visto al centro della scena sono stati a dir poco caotici. Annunciato per un secondo momento e un attimo dopo chiamato sul palco, il massimo divo della sua generazione si è ritrovato spaesato (non aveva la traduzione: di solito la gestione dell’imprevisto è una delle tante qualità richieste a chi presenta o conduce una trasmissione) e, con il tempismo dei solidi professionisti e l’autorevolezza che prescinde l’anagrafe, ha preso in mano la situazione, facendo un discorso corretto e simpatico pieno di omaggi al nostro cinema, a Crema dove ha girato Chiamami col tuo nome e a Roma (e a Francesco Totti: il futuro trentenne è romanista fradicio). Ma forse il vero caos l’ha creato con una frase buttata lì, gelando la platea: “Luca Guadagnino è la persona più importante della mia carriera, ma non lo vedo qui tra noi”. Per la cronaca: poco dopo la consegna, la coppia si è dileguata.


Timothée Chalamet
(Karen Di Paola)5. Il mondo fuori esiste
Meno male che in un’annata così focalizzata sui film ambientati nel passato, alcuni premiati hanno puntato lo sguardo sul presente prendendo posizione su quel che accade nel mondo. Delpero ha sottolineato la pulsione “silenziosamente antimilitarista” di Vermiglio, Margherita Vicario (tre premi per Gloria!: esordio, canzone, musiche) ha invitato a “reagire alla realtà, non chiudere gli occhi di fronte agli orrori di cui siamo testimoni e forse complici” e a “investire più nella cultura che nelle armi”, Stefano Sardo (miglior sceneggiatura non originale per L’arte della gioia) ha ricordato che “qualcuno sta rubando la gioia dall’altra parte del mare”, Tecla Insolia (miglior attrice per L’arte della gioia) ha accennato alle “terre libere sempre e per sempre”. Ovviamente Francesca Mannocchi (miglior documentario per Lirica Ucraina), che ricorda “tutti i bambini della Striscia di Gaza e tutti coloro che continuano a morire mentre noi festeggiamo questo premio”.


Francesca Mannocchi
(Karen Di Paola)6. Elio, sempre e per sempre dalla stessa parte ti troveremo
Germano è il vero leader movimentista del cinema italiano, che ricevendo il David per Berlinguer. La grande ambizione (il sesto in carriera, il secondo consecutivo: più di Mastroianni, per dire) si lancia in un discorso caldo, serio, autentico: “Dobbiamo la nostra democrazia anche alle battaglie del movimento operaio e delle femministe: dedico questo premio a tutti quelli che lottano per la parità di dignità prevista dalla nostra Costituzione. Parità di dignità vuol dire che tutte le persone devono essere degne allo stesso modo. Una persona povera deve avere la stessa dignità di una persona ricca, deve poter accedere all’istruzione, alla sanità. E una donna deve avere la stessa dignità di un uomo, un nero la stessa dignità di un bianco, un italiano la stessa dignità di uno straniero, e permettetemi di dire: un palestinese la stessa dignità di un israeliano”.


Elio Germano
(Karen Di Paola)7. Il mondo dentro quella sala
Una cerimonia di premiazione organizzata in un luogo iconico con un grande avvenire alle spalle (da Fellini in giù) e che si bea dell’arrivo del revenant Mel Gibson pronto a girare in loco la Resurrezione di Cristo; trasmessa in una diretta televisiva sul primo canale dopo un irrinunciabile preserale con una finestra di “informazione” e un giulivo gioco a premi; piena di gente del settore che non nasconde preoccupazione e malumore per le linee governative in materia di sostegno all’industria. Possibile che l’unico ad assumere la veste di “sindacalista” del cinema, rivolgendosi direttamente alla massima figura politica in sala (LA sottosegretaria alla Cultura), dicendole chiaramente che le cose non vanno bene, che “il David è bello ma qui c’è l’opulenza e le piccole società stanno facendo una fatica pazzesca” sia il vecchio maestro che peraltro non si è dimostrato ostile a quel governo che lui stesso ha rimproverato (coi suoi modi e i suoi codici, ma tant’è) in diretta nazionale? Forse l’Italia è un Paese complesso, sicuramente è un posto interessante in cui vivere.


Elena Sofia Ricci e Pupi Avati
(Karen Di Paola)8. E anche stavolta…
Totalini che lasciavano vedere le tante poltroncine vuote nella seconda parte della trasmissione (d’accordo i ritardi e tutto il resto, ma cosa vi aspettavate da una cerimonia che prevede la consegna di TRENTA statuette?), i cari estinti del momento “In Memoriam” mai inquadrati per farci leggere i loro nomi (chi è il protagonista dell’intermezzo, Mika che canta o la cerimonia degli addii?), il discutibile calore di una platea sempre poco collaborativa (l’unica cosa che dovremmo copiare dagli Oscar), la scelta azzardata di due personaggi meravigliosi ma forse non del tutto adatti a gestire il traffico di una cerimonia. Citando un momento leggendario della storia recente dei David: “Vogliamo fare un applauso a un altro che ci ha provato e non ci è riuscito?” (fun fact: in realtà quella di Mastandrea non fu un’umiliazione).


Mika
(Karen Di Paola)9. Alla fine è stato davvero l’anno delle donne
Peccato per Francesca Comencini lasciata a bocca asciutta, ma Golino ha detto la sua (che la "polemica" sullo statuto di serie de L’arte della gioia abbia danneggiato la sua corsa?), Delpero è entrata negli annali, Insolia si è imposta come la capofila di una generazione (già premiata con il Davidino per le Rivelazioni Italiane, ora si porta a casa pure il Davidone). E poi Mannocchi e soprattutto Vicario, tre premi tutti per lei (musiche e canzone condivisi con altri) e la consapevolezza di aver fatto un film-manifesto: lo sottolinea alla vittoria come compositrice, ricordando di essere la seconda donna a vincere nella storia della categoria dopo Rita Marcotulli e la quarta candidata dopo Giovanna Marini e Rachele Bastreghi dei Baustelle. “Il femminismo non è una questione ideologica, ma una questione statistica”. Difficile dirlo meglio.


Margherita Vicario
(Karen Di Paola)10. i migliori Nanni della nostra vita
In sala perché candidato come miglior produttore per il bellissimo Vittoria, reduce da un infarto e impegnato con un nuovo film, Moretti è stato inquadrato di sfuggita in una manciata di occasioni, offrendo involontariamente (involontariamente?) il commento più preciso e irresistibile a tutta la serata. Le parole sono importanti, ma le facce pure. Forza Nanni!