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Albatross, nella foto Francesco Centorame con Giulio Base. Foto di Giuseppe Bruno, JR Studio
“Non volevo raccontare tanto gli anni di piombo, quanto dei ragazzi che si prendevano anche a botte per degli ideali, ma poi diventano complici e si rispettavano. Non sono entrato in dinamiche extraparlamentari di destra e sinistra. Io ho vissuto quei tempi: eravamo giovani, pieni di fervore, ma la vita era al di sopra di di tutto. Celebro soprattutto l’intraprendenza di ragazzi capaci di fare un po’ quello che hanno fatto Jobs o Zuckerberg di recente: tre squinternati che si inventano un’agenzia di stampa che contrasta i grandi network internazionali”.
Albatross, ultima regia di Giulio Base, inquadra il triestino Almerigo Grilz, militante neofascista che, da “inviato di guerra indipendente”, negli anni ’80 fonda con gli amici Gian Micalessin e Fausto Biloslavo l’agenzia di stampa del titolo per documentare le guerre ignorate dai grandi media. Prodotto da One More Pictures e Rai Cinema, il fim sarà in sala dal 3 luglio con Eagle Pictures.
Giulio Base, perché raccontare un personaggio così controverso?
“Il produttore Gennaro Coppola mi suggerì quest’idea già nel 2019. Io ero recalcitrante: temevo di fare un film divisivo e non trovavo una chiave interpretativa, ma Coppola continuava a stuzzicarmi, mi dava libri, mi forniva spunti. Poi m’imbatto nell’introduzione di un libro firmata di Toni Capuozzo, anche lui di Trieste e dichiaratamente antifascista, che sosteneva che comunque si dovesse rispettare Grilz, anche se la pensava diversamente da lui. Lì ho visto il film. Ho deciso che l’avrei raccontato dal punto di vista del suo peggior nemico. Mi sento un partigiano della riconciliazione a tutti i livelli”.
Questo film ha una sua morale, ma non è un film a tesi.
“Il cinema che mi piace è quello in cui lo spettatore deve crearsene una sua. In questo progetto mi sono coinvolto in prima persona anche da attore, in una sorta di meta-cinema per mostrare la giusta distanza o vicinanza rispetto alle parti contrapposte, e rispetto a un personaggio che ha attirato su di sé critiche feroci anche per delle posizioni indifendibili. Il film non vuole essere la costruzione di un eroe, ma un racconto delle varie possibilità di vita in una precisa epoca storica”.


Francesco Centorame in Albatross di Giulio Base. Foto di Giuseppe Burno, JR Studio
Dopo À la Recherche, insomma, prosegue la tua operazione nostalgia negli anni Settanta.
“Ho nostalgia di quest’epoca, ma a una dimensione sentimentale corrisponde una dialettica che si vede sia À la Recherche che in Albatross: due personaggi antitetici che in fondo si rispettano. Quella era un’epoca in cui ci si scontrava ma si dialogava. La nostra è assolutista: siamo diventati tutti, anche tramite i social, più che mai guelfi e ghibellini”.
Presentando À la Recherche trapelava la tua amarezza per un sistema cinema che per anni ti aveva emarginato. Albatross è anche un film su un intellettuale osteggiato per le sue posizioni dal sistema mediatico.
“Sì, c’è una proiezione autobiografica: mi sono sentito emarginato in passato ma voglio assolutamente evitare il vittimismo. Almerigo mi ha insegnato un po’ del suo coraggio che cerco di applicare da regista e direttore di festival”.
La frase che forse sostanzia il film è: “Sono uno dei pochi appagati dal lavoro che fa”.
“È un po’ francescana, rappresenta la consapevolezza di poter fare quello che si ama. Se hai un fuoco dentro non lo puoi spegnere. Oggi c’è un appiattimento generale delle passioni. Io ne ho una enorme per il cinema: nel bene o nel male ci ho investito tutto”.
Albatross indica anche una postura, un’etica giornalistica.
“È soprattutto un film sul giornalismo. Con voi critici noi cineasti condividiamo la missione di far sentire la voce delle persone. Per fare il film mi sono rivisto tutti quelli sul giornalismo con un certo timore, io che giornalista non sono. E mi sono convinto che dovremmo tornare tutti a sporcarci le mani: siamo sempre dietro uno schermo, dobbiamo incontrare la gente, fare inchieste dove la vita accade. Come fece Almerigo”.


Giancarlo Giannini in Albatross di Giulio Base. Foto di Giuseppe Bruno, JR Studio
Per la prima volta dirigi sia Francesco Centorame sia Giancarlo Giannini.
“Centorame è un giovane talento. In lui ho trovato un attore eccezionale: viene dal teatro, è determinato, ha recitato in un triestino perfetto. Rappresenta una generazione di attori che può fare qualunque cosa anche in condizioni estreme preparandosi in maniera mostruosa. Spero di dirigerlo ancora tante volte. Giannini mi è venuto in mente quasi subito per questa sua autorevolezza. Dirigendolo ho scoperto l’incredibile naturalezza con cui fa questo mestiere. Passa in un minuto dal cazzeggio a recitare con estrema professionalità”.
Dopo Grilz porterai presto al cinema un altro “emarginato”.
“La versione di Giuda è un film a cui tengo assai. È un film sul libero arbitrio, sul senso di colpa, sulla predestinazione. Ho rischiato a livello di linguaggio cinematografico, perché il protagonista non si vedrà mai, né ci saranno dialoghi. Ho creato quasi una realtà virtuale in cui lo spettatore è chiamato a prendere i panni di Giuda. Ma anche dal punto di vista teologico sarà un film estremo, non catechistico”.