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Cillian Murphy is J. Robert Oppenheimer in OPPENHEIMER, written, produced, and directed by Christopher Nolan.
Abbiamo già parlato della classifica del New York Times sui 100 migliori film del XXI secolo. Ma oltre ai nomi e ai titoli, cosa ci racconta davvero questo ranking sulle tendenze, i gusti e le direzioni future del cinema contemporaneo? Scopriamo insieme alcuni spunti meno evidenti ma molto significativi.
Parasite: perché domina la classifica?
Che al primo posto ci sia Parasite di Bong Joon Ho non è una semplice curiosità: è un segnale potente, frutto di diversi fattori. Innanzitutto, il film ha ottenuto un consenso trasversale straordinario, risultando tra i più menzionati dai votanti e con il più alto coefficiente di vittorie nei confronti diretti. Ma la sua forza va oltre: Parasite tratta un tema universale come la lotta di classe con una satira affilata al neoliberismo, comprensibile e apprezzata in ogni mercato globale.
L’ibridazione di generi è un altro punto chiave: thriller, commedia nera, tragedia sociale, persino elementi horror, sono fusi con coerenza assoluta, aumentando notevolmente l’appeal del film sia presso il pubblico che presso la critica.
Parasite è anche un record-breaker: primo film non anglofono a vincere l’Oscar per il miglior film, ha conquistato una storica tripletta, portandosi a casa Palma d’Oro a Cannes, Oscar per miglior film e miglior regia. Questo prestigio di premi internazionali ha sicuramente incrementato la sua memorabilità e influenza nelle votazioni.


Parasite di Bong Joon-ho
La messa in scena simbolica è fondamentale: la rappresentazione verticale della divisione di classe, dai seminterrati alle ville sulla collina, fa di Parasite un caso-studio di grande potenza visiva e narrativa. Infine, l’impatto culturale del film ha generato un vero e proprio Effetto Bong: il cinema coreano ha avuto un'esplosione distributiva internazionale, con un'offerta triplicata sulle piattaforme di streaming dopo il 2020, valorizzando ulteriormente altri registi coreani come Park Chan-wook e Hong Sang-soo.
Insomma, Parasite non solo abbatte le barriere linguistiche, ma ridefinisce completamente le regole del gioco cinematografico globale, segnando un prima e un dopo nella storia del cinema contemporaneo.
Gli Oscar non dettano più le regole
La lista del Times ci suggerisce chiaramente che vincere l'Oscar non basta più per entrare nella storia del cinema. Dei 100 film scelti, circa il 45% ha vinto almeno una statuetta, ma soltanto 9 dei 24 premiati come Miglior Film dall'Academy compaiono nella classifica. Questi nove includono opere popolari come Il gladiatore, The Departed, Non è un paese per vecchi, 12 anni schiavo, Il caso Spotlight, il già citato Moonlight, Parasite, Everything Everywhere All at Once e Oppenheimer. L’effetto-Oscar, dunque, non garantisce automaticamente l’ingresso in classifica: i votanti privilegiano la capacità di lasciare un segno duraturo più che la gloria temporanea di una stagione di premi.
Chi detta legge: drammi, dark comedy e nuovi blockbuster
Analizzando i generi cinematografici più rappresentati, appare chiarissimo il dominio assoluto del dramma o della dramedy, che insieme coprono ben il 63% della classifica. Seguono la commedia, spesso mescolata ad altri generi (satira, commedia nera), e il thriller/crime che si impone grazie soprattutto ad autori di grande calibro come Nolan e Villeneuve. Anche la fantascienza trova il suo spazio importante con autori come Cuarón, che coniugano successo commerciale e visione artistica ambiziosa.
Interessante notare la presenza minima dei superhero-movie, con soli due titoli – Black Panther e Il cavaliere oscuro– selezionati soprattutto per il loro impatto culturale e le loro qualità stilistiche innovative.
Sorprendente è anche la presenza dell’animazione d’autore, con Pixar che piazza film memorabili come Up e Ratatouille. La linea tra fiction e documentario si fa più sfumata, grazie a titoli come The Act of Killing, Grizzly Man e Les Glaneurs et la glaneuse, e perfino la commedia pop trova spazio con Anchorman, simbolo della rivalutazione culturale del riso scemo.
Le registe: qualità alta, presenza ancora marginale
La presenza femminile nella regia rimane contenuta: solo 11 titoli su 100 sono diretti o co-diretti da donne. Tra questi figurano film acclamati come Anatomia di una caduta di Justine Triet, Lost in Translation di Sofia Coppola, Ritratto della giovane in fiamme di Céline Sciamma, Lady Bird di Greta Gerwig, Toni Erdmann di Maren Ade, Little Miss Sunshine (co-diretto da Valerie Faris), The Hurt Locker di Kathryn Bigelow, Aftersun di Charlotte Wells, Les Glaneurs et la glaneuse di Agnès Varda, Fish Tank di Andrea Arnold e Past Lives di Celine Song. Nonostante la qualità di queste opere, la prima regista donna compare solo al 26° posto, segno che il divario di rappresentanza è ancora forte. La classifica segnala dunque un progresso, ma anche la necessità di uno sguardo critico più inclusivo.
Altri pattern interessanti
Analizzando più a fondo emergono ulteriori dettagli significativi. A livello temporale, la distribuzione dei film scelti è molto equilibrata tra i primi due decenni del secolo, con 46 titoli tra il 2000 e il 2009, 44 tra il 2010 e il 2019, mentre solo 10 titoli sono emersi dopo il 2020. Questa tendenza evidenzia come il canone si consolidi lentamente, con un ritardo di circa cinque anni: pochi film recentissimi, come Past Lives, Oppenheimer o La zona di interesse, hanno già sedimentato consenso. L’anno più “affollato” nella top 100 del New York Times è in realtà un ex-aequo: 2000 e 2001 contano entrambi 8 film ciascuno, il massimo tra tutte le annate censite. Subito dopo vengono il 2007 e il 2013 con 7 titoli a testa, mentre nessun anno post-pandemia supera quota 3–4 film.


Sul fronte geografico, la classifica del Times mostra un’apertura notevole verso il cinema internazionale: ben 36 dei 100 film provengono da paesi non anglofoni, con presenze forti da Corea del Sud, Francia, Messico e Iran.
Infine, tra i registi, alcuni nomi dominano nettamente: Christopher Nolan guida con 5 film, seguito da Paul Thomas Anderson Alfonso Cuarón e i fratelli Coen con 4 ciascuno. Questo conferma l'importanza riconosciuta a figure autoriali capaci di coniugare visione artistica e consenso popolare. Accanto alle presenze forti e alle nuove scoperte, spiccano anche le assenze clamorose. Mancano registi che, almeno per una parte della critica e del pubblico, avrebbero meritato un posto in classifica. Fuori Clint Eastwood, nonostante opere come Mystic River o Million Dollar Baby. Assente anche Alejandro González Iñárritu, che pure ha vinto due Oscar consecutivi per la regia con Birdman e The Revenant.
Il futuro del cinema secondo il NYT
La classifica del New York Times ci offre dunque più di una semplice lista: è una bussola che indica chiaramente dove sta andando il cinema contemporaneo. Globalità, ibridazione, impegno politico e inclusività culturale sono le nuove parole d’ordine. Più profondamente, questa graduatoria restituisce un canone “ibrido” dove l’autorialità rimane il criterio fondamentale, ma si lascia contaminare da successi popolari quando questi portano con sé vere innovazioni linguistiche o rappresentative. Parasite trionfa proprio perché incarna al meglio questa sintesi: formalmente brillante, politicamente tagliente e narrativamente universale. In definitiva, il XXI secolo sembra premiare drammi personali, sperimentazioni stilistiche e narrative, aprendo un dibattito affascinante su quali opere, pur avendo segnato profondamente l’immaginario collettivo, non siano ancora riconosciute come autenticamente canoniche dal gotha dell’industria cinematografica.