“Arrivò Igor Stravinskij e nessuno lo riconobbe”, scrisse Oriana Fallaci nel 1956, su l’Europeo dedicato a Gina Lollobrigida e al suo grande successo popolare ospite al Lido, col pubblico di fedeli che l’attende per ore fuori dall’albergo e dal Palazzo del Cinema. Nel frattempo, qualcuno l’ha riconosciuta. E così Venezia 80 celebra la compianta diva scomparsa lo scorso 16 gennaio, protagonista della pre-apertura di martedì 29 agosto. Un omaggio dovuto a un’icona del cinema internazionale, mai premiata al Lido (per lei né una Coppa Volpi né un Leone d’Oro alla carriera), che prevede due proiezioni speciali nell’ambito di Venezia Classici: La provinciale in versione restaurata, forse il suo capolavoro d’attrice, e una chicca by Orson Welles, quel Portrait of Gina (noto anche come Viva Italia) di cui la star di Subiaco non aveva affatto un buon ricordo.

Un filmino, quest’ultimo, lungo poco meno di mezz’ora, nato come episodio pilota di una serie televisiva della ABC, mai completata, su “persone e luoghi” con il regista di Quarto potere come guida. Lo stesso Welles lo considerava un documentario anomalo, un saggetto a metà tra il diario e l’inchiesta, con disegni di Saul Steinberg (tra i maggiori illustratori del Novecento), fotografie d’archivio e interventi di amici e conoscenti (Vittorio De Sica, Rozzano Brazzi, Anna Gruber, Paola Mori, moglie di Welles) che si alternano a una conversazione informale con la Lollo, all’epoca amatissima oltreoceano. Che però non amò per niente il ritratto firmato dal grande regista, ormai teso a quella riflessione sul rapporto tra verità e menzogna già centrale nel suo primo successo (il radiofonico La guerra dei mondi) e che avrebbe dominato tutta la parte finale della carriera (Storia immortale, The Other Side of the Wind e naturalmente F come falso, che per stile e spirito questo pilot in qualche modo prefigura): dopo averlo visto, la diva ne bloccò la pubblicazione, anche se fu la stessa ABC a cassare tutto il girato, giudicato non ortodosso né mostrabile.

Portrait of Gina di Orson Welles
Portrait of Gina di Orson Welles

Portrait of Gina di Orson Welles

L’unica copia di Portrait of Gina/Viva Italia rimase in una camera d’albergo che Welles occupava al Ritz di Parigi, chiusa in una scatola non contrassegnata che finì prima nell’ufficio oggetti smarriti dell’hotel e poi in un deposito. Con una di quelle storie rocambolesche tipiche del cinema, il film perduto fu ritrovato nel 1986, un anno dopo la morte di Welles, e proiettato alla Mostra del Cinema di Venezia. Apriti cielo: Gina Lollobrigida lo scoprì e fece ricorso per impedire la proiezione. Invano. Da quel momento, nonostante le barricate di Gina, il suo Portrait cominciò a circolare regolarmente, arrivando anche nella televisione tedesca. E trovando estimatori, perché è un film modernissimo e assolutamente da riscoprire.

Altrettanto moderno ma di certo non dimenticato è La provinciale, l’altro film con cui la Mostra celebra la Lollo. Mario Soldati – regista eclettico, lui sì, da riscoprire, capace di alternare il noir post-bellico con Fuga in Francia e farse come O.K. Nerone, esplosioni calligrafiche alla Eugenia Grandet e film di pirati come Jolanda, la figlia del Corsaro Nero, e nel frattempo vincere uno Strega e rivoluzionare la televisione lungo il Po – lo considerava il suo film migliore, e per Alberto Moravia, autore del romanzo all’origine, era una delle sue trasposizioni più riuscite (nonché la prima di una lunga serie).

Scritto da Soldati con Giorgio Bassani (ebbene sì) e Sandro De Feo (scrittore e giornalista, autore di un capolavoro nascosto della nostra letteratura, Gli inganni), è un cupo mélo modernista e, al contempo, un noir psicologico che non sfigura di fronte alle coeve produzioni americane: piani-sequenza da panico, la profondità di campo usata in funzione narrativa per nascondere il (fortissimo) punto di vista, la ricomposizione finale in senso borghese che appare quasi una beffa, un parterre di maestranze da capogiro (fotografia di G. R. Aldo che sarebbe morto di lì a pochissimo, montaggio di Leo Catozzo, scenografie di Flavio Mogherini, musiche di Franco Mannino).

La provinciale
La provinciale

La provinciale

Ambientato a Lucca (mai citata), pieno di suggestioni che costeggiano le atmosfere di Fritz Lang e Jean Cocteau, retto su una complessa struttura a flashback che bagna il naso a Guy de Maupassant e Marcel Proust, è un women’s film da mettere accanto ad altri ritratti femminili dell’epoca (Roma, ore 11 di Giuseppe De Santis, La signora senza camelie di Michelangelo Antonioni, Febbre di vivere di Claudio Gora, Una donna libera di Vittorio Cottafavi, Le infedeli di Mario Monicelli, ma anche Europa ’51 di Roberto Rossellini). Suggella la maturità di Lollobrigida, che recita per la prima volta con la sua voce, nello stesso anno del trionfo di Pane, amore e fantasia e nel pieno di quella naturale, anarchica, erotica complessità che esprimono solo le giovani attrici che sanno fregarsene delle sovrastrutture.

Della Provinciale ricorrono i settant’anni dall’uscita in sala: un’occasione magnifica per festeggiare una delle nostre attrici più amate, prima parte di un progetto di iniziative a lei dedicate (al momento ci sono due mostre fotografiche a Roma e al Lido di Venezia e proprio alla Mostra sarà lanciato un premio ai giovani talenti) e nate da un’idea del Sottosegretario alla Cultura Lucia Borgonzoni e dalla Presidente di Cinecittà Chiara Sbarigia.