C’è un cinema vivo, in Italia, che rivendica la cittadinanza nel reale, scontornandosi dalla restituzione del quotidiano per farsi racconto al di là delle contingenze cronachistiche. È un cinema ribelle nella misura in cui cammina indomito – non senza sfrontatezza – in direzione contraria alla corrente comune, che alle aspettative spesso pigre risponde con una proposta audace, che mette insieme il documentario e il suo ripensamento, l’inchiesta su un mondo per molti versi sconosciuto e il romanzo che con i suoi schemi e le sue regole sa accogliere anche i margini delle narrazioni ufficiali. Ed è un cinema giovane, radicato nel suo territorio in maniera eccentrica rispetto alle tradizioni più obsolete e allo stesso tempo consapevole di essere parte di un discorso più ampio, che riguarda le nuove frontiere dei generi di partenza e il dialogo con autori e autrici di altri paesi.

È una sorpresa, About Last Year, unico titolo italiano in concorso alla Settimana della Critica e che, in maniera estremamente più indipendente, si mette accanto ai film(oni) selezionati dalla Biennale dicendo cose non molto diverse: ci si salva e si va avanti solo se si raccontano storie che preferiscono allargare lo sguardo anziché fissare l’ombelico. È una sorpresa, questo piccolo film girato con pochi soldi e molto entusiasmo, perché arriva da tre registe giovani, mai sentite prima, beginners totali che portano alla ribalta la sensibilità dell’underground.

Sono Dunja Lavecchia (classe 1987), Beatrice Surano (1989, insieme a Lavecchia anche autrice della fotografia) e Morena Terranova (1989, anche responsabile del montaggio), tre ragazze di Torino che raccontano altre tre ragazze della periferia torinese, Celeste, Giorgia e Letizia, legate da un rapporto di profonda sorellanza e colte nel crinale tra adolescenza e maturità. Tutte e tre sono ospiti nel mondo del ballroom, un fenomeno nato a New York dalla voglia di riscatto della comunità LGBT latina e afroamericana: negli anni dell’AIDS, il ballroom ha offerto la possibilità di un riscatto, la necessità di un supporto reciproco, il diritto di non sentirsi emarginati. Sono coordinate determinanti per capire come queste tre giovani donne cis (la loro identità di genere corrisponde al genere e al sesso biologico alla nascita) siano accolte e percepite da un mondo che tradizionalmente non le considera “parti” della comunità, anche se le cose stanno via via cambiando: si sentono al sicuro, padrone del proprio corpo e lontane da giudizi e pregiudizi.

Portando la narrazione in uno spazio in cui l’atto politico della visione consiste nel ri-pensare la realtà, senza rinunciare a innesti social che trasformano il film in un diario pubblico e una performance transmediale, le registe esplorano l’intimità delle ragazze al crocevia di un passaggio fondamentale, rivelando la natura da coming of age di un film che abbraccia un anno di vita tra sogni e bisogni. Ci sono scintille e fragilità, in About Last Year, un esordio non allineato che ha abbastanza coraggio per emanciparsi dalla teoria del film-laboratorio, per purezza dello sguardo e complicità tra osservatrici e osservati molto vicino a Adolescentes di Sébastien Lifshitz. È un film aperto: a un universo ignoto a molti spettatori e al cuore incandescente delle sue protagoniste.