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Pierbattista Pizzaballa
(Cinematografo/Adnkronos) – “Questa guerra deve finire quanto prima, lo sappiamo. Non ha più senso continuare. È tempo di fermare questa deriva”. Lo ha detto il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, in un messaggio trasmesso durante la cerimonia di premiazione della Mostra del Cinema di Venezia.
Un intervento breve ma potentissimo sulla tragedia nella Striscia di Gaza, che ha portato sul palco del Lido il peso di una terra lacerata e un invito radicale: ritrovare, attraverso la cultura, un linguaggio che non uccida ma apra alla possibilità della pace. Nel cuore di una delle manifestazioni artistiche più importanti del mondo, è risuonato l’eco di un dolore che non ha bandiere, ma volti. “Stiamo vivendo - ha detto Pizzaballa - un momento drammatico, difficile, divisivo”. E il riferimento è chiaro: il conflitto israelo-palestinese, che nella quotidianità della cronaca si traduce in immagini di morte e distruzione, ma che nella riflessione del patriarca di Gerusalemme affonda le radici nella corrosione del linguaggio, nella disumanizzazione dell’altro.
“Siamo talmente pieni di dolore che sembra non esserci spazio per il dolore dell’altro”, ha detto. Un passaggio centrale del messaggio, forse il più forte, è quello in cui il cardinale Pizzaballa ha denunciato la violenza come conseguenza diretta di una lunga stagione di parole avvelenate: “La violenza che vediamo è anche il risultato di anni di linguaggio violento e de-umanizzante. Se tu de-umanizzi l’altro con le parole, poi il passaggio alla violenza fisica è solo questione di tempo”. Ma accanto alla diagnosi, arriva anche la proposta. Un compito che Pizzaballa affida proprio al mondo della cultura e dell’arte, a chi oggi ha in mano la possibilità di cambiare narrazione, di non lasciare la parola agli estremismi: “Abbiamo bisogno di nuove prospettive, nuove strade, nuove idee. Abbiamo lasciato la narrativa ai radicali: dobbiamo avere il coraggio di un linguaggio diverso, che apra orizzonti”.
Un appello che a Venezia trova un terreno fertile, perché il cinema è da sempre anche strumento di coscienza, di denuncia, ma soprattutto di immaginazione. E immaginare oggi, in un mondo segnato da muri e polarizzazioni, è già un atto politico, un gesto profetico. Il cardinale non nasconde il suo realismo: “Ma sappiamo che la fine della guerra che auspichiamo finisca presto, nonostante la cronaca ci parli di altro, non sarà la fine del conflitto, non segnerà la fine delle ostilità, del dolore che queste ostilità causeranno”. Infine Pizzaballa ha rilanciato, con determinazione, una speranza costruita su gesti concreti, parole responsabili, immagini che uniscano e non dividano. “Io ci credo. È possibile.” È con queste parole che si è chiuso il suo messaggio. Non una conclusione, ma un inizio: la sfida a credere ancora nella forza della cultura, anche da un palcoscenico come quello di Venezia.