Adagio, una parola italiana comprensibile in tutto il mondo: “Un titolo che non può essere deturpato all’estero – sorride Stefano Sollima, che del film è regista, sceneggiatore e coproduttore – e che rispecchia il passo lento dei protagonisti, il loro ideale tempo musicale”. Dopo il passaggio a Venezia, dov’era uno dei sei italiani in concorso, arriva in sala dal 14 dicembre il film che chiude un cerchio, aperto con Romanzo criminale e proseguito con Suburra.

Al centro il sedicenne Manuel (l’inedito Gianmarco Franchini) che, vittima di un ricatto, va a una festa per scattare alcune foto compromettenti ma, sentendosi raggirato, decide di scappare: inseguito dai carabinieri corrotti (Adriano Giannini e Francesco Di Leva) sarà costretto a chiedere protezione a due ex criminali (Valerio Mastandrea e Pierfrancesco Favino), vecchie conoscenze del padre (Toni Servillo). Attorno a loro, la città che brucia: “Quando abbiamo cominciato a scrivere – spiega Sollima, autore dello script insieme a Stefano Bises – gli incendi e i blackout erano all’ordine del giorno. Come la pioggia in Suburra, uso un elemento della vita quotidiana come metafora di un’epoca che sta per finire. E stavolta ci caliamo in una Roma meno monumentale, più vicina a Los Angeles che al solito immaginario. C’è anche la tangenziale: pensavamo che dopo Fantozzi meritasse una seconda possibilità”.

Venezia 80 : Photocall Adagio
Venezia 80 : Photocall Adagio
Stefano Sollima (foto di Karen Di Paola)

Adagio è un noir crepuscolare: “Per Sollima è un film family – scherza Lorenzo Mieli, produttore con The Apartment – però, sì, già il pitch era intimista. È tante cose: un film di genere, un crime che conclude il discorso sulla Roma criminale, una reinvenzione della città, una riflessione sulla paternità che è il cuore di tutto. C’è un doppio passaggio di testimone: si dà l’addio a un mondo attraverso dei personaggi che sono dei vecchi arnesi e se ne accoglie un altro senza dare giudizi, con una vaga speranza”. “L’idea – sottolinea Sollima – era proprio raccontare il tentativo disperato di tre vecchi criminali in cerca di redenzione”.

Favino, irriconoscibile grazie al trucco di Lorenzo Tamburini (“Non si è voluto rapare” specifica Sollima), è Romeo detto Cammello, descritto come una bestia: “È uno che si può incontrare per strada, ma potrebbe anche essere uscito da un fumetto. È un uomo malato, ho studiato le conseguenze della patologia sul corpo. E il corpo è protagonista: l’ho immaginato come una blatta, che scappa mentre la città prende fuoco, anche se starebbe bene in un angolo. Il trucco? Come una maschera giapponese che ti porta in una dimensione altra da te”.

Servillo è il padre di Manuel, smemorato ma non troppo, noto alle cronache come Daytona: “Mi è capitato di interpretare due gemelli, ma mai due persone diverse che abitano nella stessa persona: un lavoro affascinante. Non ho avuto bisogno di invecchiarmi, ho lavorato piuttosto sui quattro stracci che porta addosso. E sull’ambiguità nel non sapere se sia davvero malato o no: sta al pubblico decidere se ci è o ci fa”. Nel ruolo di Polniuman (c’entrano gli occhi) c’è Mastandrea: “La mia prima volta con Sollima, non conoscevo il suo mondo. La fatica è stata rendere la cecità il motore delle scene”. Giannini è Vasco, il carabiniere corrotto: “Un uomo che sa muoversi tra il bene e il male. Stefano ha coperto il mio sguardo romantico, mi ha fatto ingrassare otto chili a forza di biscotti e Nutella: un lavoro espressivo sul corpo diverso dal solito”.

Venezia 80 : Photocall Adagio
Venezia 80 : Photocall Adagio
Valerio Mastandrea, Adriano Giannini, Toni Servillo, Pierfrancesco Favino (foto di Karen Di Paola)

In sala grazie a Vision Distribution in 350 copie: “È una precisa strategia – spiega l’A.D. Massimiliano Orfei – per spiazzare il pubblico con un film natalizio atipico. Come Le otto montagne: nel mondo post-pandemico ci sono nuove coordinate, dobbiamo marchiare la differenza rispetto alle piattaforme. Puntiamo sullo spiazzamento del pubblico”.

E Adagio, a sentire chi l’ha fatto, ha tutte le carte per dialogare con il pubblico: “In questo periodo – riflette Favino – sento il fuoco attorno: è un’emozione condivisa, abbiamo tutti la sensazione di doverci ritagliare un angoletto dove sopravvivere. I personaggi del film sono tirati a forza dal loro angoletto: è bello che sia un ragazzo a fare un gesto del genere, al di là di ciò che hanno fatto in passato. E nel finale è proprio quel ragazzo a sparigliare tutto. Stefano è un filmmaker punk, un laico, evita il ricatto del divino: ognuno è responsabile per sé”. Sui titoli di coda, Franco Califano canta Tutto il resto è noia: una sentenza.