Tradurre è ancora tradire? Da sempre Hollywood – che, sì, è una macchina che costruisce immaginari e memorie ma è soprattutto un’impresa industriale e commerciale – crea versioni cinematografiche di grandi successi teatrali, a maggior ragione se musicali. Il tema del profitto è centrale (se una cosa è andata bene da una parte, è plausibile possa funzionare anche altrove), ma è anche vero che gli spettacoli con canzoni e numeri sono occasioni irresistibili per riempire ed esaltare i grandi schermi, straordinarie esperienze collettive con una clamorosa potenza mitopoietica in una nazione sempre impegnata a costruirsi tradizioni.

Ora, come si fa un adattamento nell’epoca delle proprietà intellettuali? Passando dal teatro al cinema, si può fare ancora un’operazione di riposizionamento, ricontestualizzazione, ripensamento, rielaborazione non della storia – che resta tale – ma delle forme con cui si racconta quella storia? Tradurre un testo da uno spazio scenico all’altro, da un linguaggio all’altro, da un formato all’altro, non può che convergere con l’atto del tradire: la radice è la stessa (tràdere), il senso sta nell’attraversamento, nella trasmissione e nell’interpretazione del testo.

© Universal Studios. All Rights Reserved.
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L to R: Cynthia Erivo is Elphaba and Jonathan Bailey is Fiyero in WICKED FOR GOOD, directed by Jon M. Chu.

E Wicked – Parte 2 (in originale Wicked: For Good) è un film che ci dice molto di un sistema industriale dedito all’eterno ritorno che sia remake, reunion, reboot, sequel o prequel. Non c’è alcun interesse a creare un film con uno statuto autonomo, un oggetto che possa raccontare di sé qualcosa in più di quel che ha già detto nel musical composto da Stephen Schwartz con libretto di Winnie Holzman.

La cartina di tornasole è nella regia professionale e senza intuizioni di Jon M. Chu, che si affida completamente al tripudio decorativo (le scenografie di Nathan Crowley e i costumi di Paul Tazewell) e non sa incastonare le figure nella profondità di campo, contempla e circumnaviga i numeri musicali senza trovare una cifra che non sia derivativa. Rispetto al primo capitolo – che in realtà è un “primo tempo”: i film sono stati girati insieme – il tono è più asciutto e meno ridondante e l’allegoria del potere è tanto semplice quanto efficace con evidenti risonanze nell’attualità politica (la manipolazione della verità, la costruzione del nemico, l’addomesticamento del popolo).

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L to R: Cynthia Erivo is Elphaba, Ariana Grande is Glinda, and Jeff Goldblum is The Wizard of Oz in WICKED FOR GOOD, directed by Jon M. Chu.

Il cast, va da sé, si conferma in forma: Cynthia Erivo capitalizza la malinconia dei vinti, Ariana Grande si muove con sicurezza, Jonathan Bailey e Ethan Slater hanno dei momenti struggenti, Michelle Yeoh è una rispettabile villain, Jeff Goldblum è meraviglioso come cialtrone e perfido Mago di Oz che attraversa il film con supremo gigionismo. Senza temere spoiler, diciamo che la parte finale è la gustosa back story de Il mago di Oz, che Chu ha l’intelligenza di non far vedere se non tramite dettagli (le scarpe) e ombre (Dorothy contro la Malvagia Strega dell’Ovest), consapevole di non poter ricreare qualcosa che ha già un posto nell’immaginario grazie al classico di Victor Fleming, ma le rivelazioni sui destini di alcuni personaggi sono ben gestite.

È indiscutibile quanto – soprattutto negli Stati Uniti – Wicked sia un fenomeno molto amato, celebrato e idolatrato, una coccola in bilico tra il kitsch e il pop, ma sembra avere l’unica preoccupazione di non disattendere le aspettative dei fan. E, d’accordo, è sempre bello tornare dove siamo stati bene, ma forse al cinema chiediamo qualcosa di diverso dallo spettacolo filmato con effetti speciali, di meno prevedibile di un’operazione di sfacciato fanservice.