Quando si realizza il ritratto cinematografico di una personalità carismatica, si corre sempre il rischio che tutto sfoci in un'apoteosi alquanto scontata. Un difetto da cui Valentino: The Last Emperor di Matt Tyrnauer non è del tutto immune, pur riuscendo a riscattarsi abilmente nel regalare al pubblico un quadro complesso, e in apparenza completo, delle contraddizioni che circondano il mondo dell'alta moda. 
Girato tra il 2005 e il 2007, emerso da ben 250 ore di riprese, il documentario (entrato nella shortlist dei 15 titoli da cui sarà scremata la cinquina per i prossimi Oscar) punta infatti a mettere a nudo il backstage dell'esistenza di un grande stilista come Valentino Garavani, rincorso dalle telecamere del regista proprio in quelli che si sono rivelati gli ultimi anni di una lunga carriera, vissuta all'insegna dello sfarzo e dell'eleganza, ma anche del sentimento. Oltre ai bei vestiti, alle passerelle, al glamour e alle feste, l'elemento centrale del film risulta proprio la relazione tra il couturier e il suo braccio destro Giancarlo Giammetti, che lo ha accompagnato dagli anni '60 in poi, contribuendo in modo determinante a far espandere l'azienda da loro fondata e a conferire al suo marchio il significato che mantiene tutt'oggi. Un rapporto unico a tutti gli effetti, sia sul piano affettivo sia professionale, ma soprattutto indispensabile per fornire all'occhio attento di Tyrnauer una “colonna emotiva” con cui dare umanità e simpatia al personaggio un po' affettato e distaccato di Valentino, e sulla quale costruire attraverso rapidi inserti un discorso più ampio sull'universo fashion. Partendo dai sei cagnolini dello stilista, curati come dei piccoli pascià, passando per le sarte laboriose e veraci dell'azienda dello stilista, fino ad arrivare alle celebrazioni faraoniche per i suoi 45 anni di carriera, il film apre tante piccole finestre sulla lucrosa arte del lusso e della bellezza. Una specie di dimensione autoreferenziale a sé stante, il cui scopo primario sembra tenere lontana la realtà con le sue brutture e le sue esigenze non troppo garbate. Un mondo così preoccupato di rimarcare la sua eccezionalità, da cadere spesso nel grottesco e sfiorare il pacchiano, senza contare poi la carenza di grezza umanità, di cui le modelle e il viso quasi “amimico” di Valentino sono l'espressione più compiuta. Probabilmente il maggior pregio del documentario di Tyrnauer sta proprio nella sua capacità di coinvolgere in questo meraviglioso e assurdo viaggio alla ricerca della perfezione assoluta, con tutti gli ostacoli, le ingiustizie, le glorie e anche le amare sconfitte a cui può condurre una meta così lontana. Sempre con l'accortezza di sfruttare le potenzialità ipnotiche che le paillette, i lustrini e i volant sanno ancora esercitare, e non solo sul pubblico femminile.