Un regime dispotico che governa con gli strumenti della paura e del sospetto. Emigrati, emarginati e dissidenti inviati nei campi di concentramento. La televisione che copre le menzogne di governo, parlando d'altro. E come se non bastasse, un vendicatore pronto a farsi saltare in aria con tutto il Parlamento, per restituire la libertà al popolo. Durante il festival di Berlino Variety ha bollato V per Vendetta come facile strumentalizzazione della controcultura di oggi. Ci sono tanta politica e attualità, è vero. Ma V per Vendetta è molto di più, dal punto di vista sia formale che contenutistico. Anche se soltanto ombre dell'originale, scenari e fotografia evocano comunque l'affascinante fumetto ideato, non a caso all'epoca del thatcherismo di ferro, dalla coppia Alan Moore e David Lloyd. Delle cupe ambientazioni della striscia rimangono oggi chiari rimandi all'opprimente immaginario orwelliano, così come estetica e atmosfere, che a tratti ricordano il celebre The Wall di Alan Parker, figlio degli stessi anni. Repressione, omologazione, censura sociale e politica: non è un caso che i Wachowski abbiano trovato pane per i loro denti. In forma e contesti diversi, ma paure e denuncia sono le stesse del primo Matrix, come l'ex cattivo Hugo Weaving e l'allora assistente McTeigue, questa volta promosso in regia. In più, dalla loro hanno questa volta anche una potente trama romantica e una (studiata?) coincidenza politica. Si partecipa molto al film, ma non solo per gli inevitabili accostamenti agli attuali scenari internazionali. Gran parte del merito va all'affascinante Mr V. Molto più di un semplice vendicatore, e del kamikaze a cui le semplificazioni l'hanno costretto, incarna infatti appieno l'eroe romantico del nuovo millennio. Vittima prima ancora che vendicatore, esalta poi con la maschera l'universalità del suo messaggio. Non è solo uno, ma anche nessuno e centomila come nelle suggestive scene che concludono il film. Perché, come ripete con un po' di enfasi retorica, gli uomini muoiono, ma le idee no.