Quanto è sofisticata l'Easy Virtue di Elliott. Dieci anni d'esilio dai set non hanno arruginito l'effervescenza del regista australiano (suo il cult Priscilla, la regina del deserto), che toglie la polvere alla pièce di Noel Coward, dimentica la versione "muta" realizzata da Hitchcock, e realizza una scoppiettante commedia che entra di diritto nella grande tradizione brillante, quella di Cukor, Hawks e Wilder. Averli riesumati è di per sè un piccolo miracolo. Siamo all'inizio degli anni'30, negli States tramonta la Jazz Age, in Inghilterra resiste la calma piatta della vita di campagna, la countryside life. Ma la routine della severa Mrs Whittaker (Kristin Scott Thomas) e quella della sua bislacca famiglia è destinata a durare poco: dall'estero fa ritorno a casa il primogenito John (Ben Barnes) accompagnato dall'affascinante Larita (Jessica Biel), un'americana sexy e stravagante che è divenuta nel frattempo sua moglie. Elliott, che ha scritto la sceneggiatura insieme a Sheridan Jobbins, rivitalizza l'opera del grande commediografo inglese, affilandone gli artigli e volgendo l'originario dramma in una farsa in grande stile. L'amarezza di Coward nei confronti della società vittoriana diventa qui arguto sberleffo contro ogni forma d'ipocrisia, mentre le stoccate ai rituali della rinomata tradizione inglese e alle sue buone maniere sono il frutto di una partitura dal ritmo travolgente, dove le gag, le battutte e i dialoghi sanno sempre come colpire e affondare. Intelligente, frenetico, moderno nella messa in scena e nelle musiche (i grandi classici del jazz, il can can, il tango e il sapiente lavoro di Marius de Vries, compositore già per Moulin Rouge!, che ha remixato alcune canzoni contemporanee col "sound" dell'epoca), Un matrimonio all'inglese è un piacere per gli occhi e una delizia per le orecchie. Grande la prova d'attori. Non delude nessuno, dal navigato Firth al più inesperto Barnes (che canta pure bene!), anche se ovviamente i riflettori sono tutti puntati sul duello tutto al femminile Scott Thomas-Biel. Se la suddita di Sua Maestà vince per stile, alla yankee (qui in una reincarnazione di Jean Harlow) va tutta la nostra simpatia. Non ce ne voglia la prima: "Possiede tutte le virtù che detesto e nessuno dei vizi che adoro". Non l'aveva detto un inglese?