In Once (2008) c'era l'incontro a Dublino tra un chitarrista di strada che ripara aspirapolveri nel negozio del padre e una ragazza céca che svolge umili lavori per mantenere mamma e figlioletta. I due si scoprono appassionati di musica, e lui la convince a realizzare un demo da inviare alle case discografiche. Sarebbe difficile affermare che il racconto del nuovo film di John Carney segua il titolo, Tutto può cambiare. Ad essere precisi, al posto di Dublino c'è New York, ma sempre di un lui e lei si tratta: lui è Dan, dirigente in crisi di una etichetta discografica; lei è Greta, fidanzata con un cantautore emergente che si trasferisce a San Francisco, ottiene successo e cede ad un una nuova relazione. Del tutto fortuito, l'incontro tra Dan e Greta è la scintilla che permette ad entrambi di ritrovare i giusti stimoli a partire dalla grande passione per la musica.

Il regista resta dunque sempre all'interno del prediletto scenario canoro, e nel finale, quando si concretizza l'idea di Dan di far esibire il gruppo appena costituito e incidere canzoni in luoghi impensati di New York, il realismo cede completamente il posto alla fiaba metropolitana. Il copione sembra una sintesi tra il  Woody Allen cantore della Grande Mela, il Paul Mazursky di Stop a Greenwich Village e sfocate suggestioni da A proposito di Davis di Joel Coen. La storia d'amore non nasce, Dan e Greta restano sulla soglia dell'amicizia genuina e pulita, lui anzi recupera il rapporto con la moglie e la figlia adolescente.

Ne esce un piccolo, timido musical collocato ad altezza di favola urbana. La regia di Carney fa pochi sforzi per lasciare qualche graffio, Mark Ruffalo appare a proprio agio nel ruolo dello scapestrato/ravveduto Dan; Keira Knightley  spreca invece inutili energie in un personaggio poco incisivo e di limitato spessore.