Congedatosi dalla marina americana, il giovane Elvis Valderez (Gael Garcia Bernal) si mette sulle tracce delle proprie perdute origini. Ovvero del padre che non ha mai conosciuto, se non attraverso le parole della madre defunta. Lo trova pastore (William Hurt) di una chiesa battista, marito di una donna devota e, soprattutto, deciso a non scalfire il proprio presente irreprensibile. Ma il muro che David Sandow erige tra sé e il mancato figliol prodigo non resiste alla strategia prima elusiva - la frequentazione con la sorellastra Malerie nonostante il diktat paterno - e poi apertamente oppositiva - l'omicidio del fratellastro Paul - di Elvis. Se il territorio etico non può essere parabolico, non resta che esplorare le vie della tragedia fino alle estreme conseguenze: incesto, fratricidio e, quindi, richiesta di perdono. Il contesto socio-urbanistico è quello della Corpus Christi texana in cui si infrange il desiderio di riconoscimento di Elvis, violentemente e ineluttabilmente. L'opzione è chiaramente determinista e il film si attorciglia - con non poche difficoltà - su premesse ferali, contrappuntate dal christian rock e da omelie in cui il privato sconvolge i parametri religiosi. Esordio del documentarista britannico James Marsh, The King attesta il ritorno surrettizio del sacro nelle forme della violenza di cui parlava Girard. Ma il trono rimane vacante.