Home is where you never feel alone, a house is nothing but a collection of bricks.

Sui titoli di coda Jarvis Cocker intona la morale dello stravagante The House.

Film in tre episodi, realizzato in stop-motion. Al centro una misteriosa casa inglese vista in epoche diverse.

Nel primo, diretto dal tandem belga de Swaef & Roels (intitolato “E dentro di me, si intesse una menzogna”), siamo alla fine dell’età vittoriana.

Una famiglia, che ha conosciuto giorni migliori, viene convinta dall'emissario di un misterioso architetto a trasferirsi senza spese in una residenza molto più sfarzosa, dotata di ogni comfort. Siccome però non esistono pasti gratis, il generoso dono impone presto un prezzo da pagare.

Le atmosfere da romanzo tardo-gotico, con i pavimenti che cigolano e ombre deformate da luci capricciose, infondono un’aria sinistra a questo episodio, il migliore. Il movimento a scatti dello stop-motion si fonde con il tono spettrale del racconto, che la partitura tenebrosa di Gustavo Santaolalla cattura ed esalta. La storia, rivisitazione in chiave creepy dell’anima venduta al diavolo, non è di prima mano ma il disegno ammalia e combina felicemente stile fiammingo, cromatismi romantici e pennellate surrealiste.

Una mistura che non ritroviamo invece nell’episodio di mezzo, "Perduta è la verità che non si può vincere", dello svedese Lindroth von Bahr.

La casa è sempre quella ma completamente rimessa a nuovo al giorno d’oggi. I personaggi antropomorfizzati.

Protagonista un topo che ha da poco ristrutturato per vendere al miglior offerente. L’occasione è l’open house per esporre la mercanzia ma la cui organizzazione procede a forza di intoppi: invasioni di scarafaggi, consegna di appetizers sbagliati. Quando finalmente l’evento ha luogo, a mostrarsi interessata è solo una coppia di toponi che vi s’infila senza far vedere moneta.

A nulla valgono le proteste del disperato proprietario, il cui incubo è solo all’inizio.

Una variazione sul tema del parassitismo condotta con una leggerezza che sfiora l’indolenza. L’agnizione finale però la riscatta in parte.

Il che non avviene invece nel terzo e conclusivo atto, "Ascolta di nuovo e cerca il sole", di Paloma Baeza. Stavolta di scena va il futuro (distopico), in cui la famigerata casa galleggia miracolosamente mentre tutto intorno è acqua e fango a seguito di un’enorme inondazione. La tenutaria, una gatta, vuol trovare nuovi affittuari, visto che quelli di cui dispone al momento pagano solo col baratto di pesci e cristalli. L’arrivo di un bizzarro maestro di canto tibetano determinerà però una svolta imprevista. Raffinato per resa visiva ma piatto e indeciso sul registro da adottare. Voce in originale di Helena Bonham Carter.

Nel complesso The House testa lo stop-motion su un dispositivo testuale inedito: non l’horror, genere in cui aveva eccelso con i lavori di Henry Selick e Tim Burton, ma il creepshow rielaborato in chiave sincretica, con focus più estetico che di contenuto. Approccio interessante solo sulla carta. Il film è assai diseguale negli esiti e poco amalgamato nell’insieme. Minimo comune denominatore la messa alla berlina dell’abitazione, quando finisce per possedere i suoi stessi possessori. Il che, se non altro, è un netto contrappasso rispetto al mantra pandemico. A casa davvero tutti bene?