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The Hole 3D
Cosa ci può essere più metaforicamente horror di un buco nero, calamita gravitazionale di paure primordiali, antro buio, spazio ignoto e vertigine, terrore di cadere, svanire, venire inghiottiti da qualcosa di mostruoso? Procede per topoi Joe Dante nel suo The Hole in 3D, a partire dalla figura che dà titolo al film. Ma è tutta l'operazione ad essere un esercizio di metacinema, una miscela di archetipi narrativi e psicanalisi, un gioco di specchi tra film e spettatore sapientemente condotto da Dante, che libera e smaschera il fondo simbolico del genere (emblematica la scena in cui i tre protagonisti calano una videocamera-spia nel buco). All'origine dell'horror, la fine dell'horror. Forse. Il finale lascia un altro piccolo spiraglio per un sequel, ma è anche questo deja-vu, omaggio. Ritroviamo la famigliola smarrita, orfana di padre, protezione, controllo. La piccola provincia, la casa infestata, il pagliaccio, il fantasma, l'uomo nero. Raimi e Poltergeist, King, Hideo Nakata e Carpenter. Il labirinto di Kubrick è poi la versione adulta del buco di Dante, architetture da brivido, entrambe popolate dai mostri dell'inconscio. L'orco è il padre, l'ordine diventato caos. La radice è l'infanzia, genesi e recesso di ogni incubo. Un film-saggio sul genere, anche troppo lineare, scoperto, con qualche passaggio a vuoto (ma esiste una sceneggiatura horror che non ne abbia?). Museale, più che anacronistico, cui non basta la veste 3D (sfruttato poco e male) per diventare automaticamente nuovo. Soprattutto un film che impaurisce senza versare una goccia di sangue. Basterabbe questo a farne un classico.