Raccoglie un’eredità, Breve storia di una famiglia, primo lungometraggio del cinese Lin Jianjie dopo tre corti. È quella dei thriller in cui un estraneo, di solito un estraneo, irrompe nelle vite di un gruppo, i cui membri sono generalmente legati da vincoli parentali. Pensiamo a classici della perversione come Il servo e Teorema, alle reincarnazioni di Tom Ripley tra pagina e schermo, a una rilettura tra fashion e parodia come Saltburn, al suo ribaltamento teorico in Get Out, alla sua rinascita all’altezza della lotta di classe in Parasite.

Lin sa di avere alle spalle una costellazione di riferimenti, ma nel suo caso più delle referenze cinematografiche contano quelle socioculturali. E coglie la possibilità dell’orrore, la via all’inquietudine, l’appiglio del dolore nella politica del figlio unico, la disposizione governativa legata al controllo delle nascite per contrastare il fortissimo incremento demografico del paese.

Breve storia di una famiglia
Breve storia di una famiglia

Breve storia di una famiglia

Nel suo impianto concettuale, Breve storia di una famiglia affronta le conseguenze psicologiche innescate da questa riforma oggi modificata, che com’è noto negli anni ha incrementato il ricorso all’aborto selettivo del sesso e a una sostanziale negazione dei diritti umani. E Lin non può non scegliere il thriller per incrociare il tessuto narrativo con la sfera politica: un ragazzo contemplativo e silenzioso entra nel quotidiano famigliare di un suo compagno di classe, figlio unico della classe media con padre biologo e madre ex hostess, e il legame diventa così forte da provocare un terremoto emotivo, lasciando emergere segreti mai svelati ed emozioni trascurate.

Più del cosa, tuttavia, conta il come e Breve storia di una famiglia è soprattutto la sua forma: abbraccia le regole del genere nel montare la suspense, rincorre la sontuosità attraverso virtuosismi estetici e inquadrature geometriche per plasmare un’atmosfera morbosa e inquietante (è evidentemente un film sull’osservare, non solo per le scelte di regia ma anche per il suo ricorrere a occhiali in interni, macchine fotografiche, dettagli simbolici).

Breve storia di una famiglia
Breve storia di una famiglia

Breve storia di una famiglia

Debuttante, sì, e alle prese con materiale infiammabile, Lin è chirurgico nel padroneggiare la materia con un controllo perfino eccessivo, quasi si mettesse al di sopra di un teatro anatomico, di fronte a un diorama che postula il crimine in embrione, stando accanto a corpi ridotti a funzioni del racconto.

La risonanza internazionale riecheggia nelle ansie della società della performance (le aspettative dei genitori, la sofferenza dei figli, i dislivelli di classe), nella configurazione neoclassica che dialoga con la repressione e il desiderio (la fotografia marmorea è di Zhang Jiahao), in una freddezza che lavora nelle ellissi, nei non-detti, negli atti incompiuti e sembra posizionare una vicenda “come tante altre” in uno spazio quasi debitore all’immaginario distopico. Presentato in anteprima a Berlino 74, nella sezione Panorama, e al Sundance, vincitore del Black Panther Award 2024 al Noir in Festival.