Irriverente, iconoclasta, canzonatorio. Il Partito Comunista Sovietico non l'avrebbe approvato. First on the Moon di Alexei Fedortchenko, lungometraggio d'apertura della sezione Orizzonti, è un'intelligente prova d'autoironia della nuova Russia cinematografica. Stilemi e stratagemmi ricordano il pastiche d'autore di Ciprì e Maresco. In forma più  soft, ma che rapportata a oggetto e contesto raddoppia l'effetto dirompente. Lo spunto è il fantomatico rinvenimento di una serie di bobine nell'Archivio della Federazione Cinematografica Russa. Bollente contenuto: la testimonianza del primo fallimentare tentativo sovietico di conquistare lo spazio. Colore e bianconero sgranato, interviste e cinegiornali d'epoca, reportage e materiali di repertorio: la parodia si camuffa da presunta cronaca in un derisorio collage che fa il verso alla prosopopea della Rivoluzione Planetaria Sovietica. L'illusione è quasi perfetta, se non fosse per la galleria di personaggi che scorrono sulle note di bande e marcette: nani da circo, burocrati primitivi, maialini catapultati nello spazio. Il tutto nella cornice trionfalistica di quello che Fedortchenko chiama il sogno della Repubblica Cosmica dei Soviet. Ironia che gioca sul contrasto, sconfina nel grottesco, ma non sfocia mai nell'eccesso. Un meccanismo efficace che ha il suo punto di forza nel disorientamento: pur se già visto, scardina le aspettative dello spettatore occidentale con un segnale di sorprendente vitalità del nuovo cinema russo.