Arriva ancora una volta da Oriente il film sorpresa della Mostra. E' The Ditch (Il fossato) di Wang Bing, grande documentarista cinese che per la prima opera di "finzione" sceglie di ritornare al 1960, focalizzandosi sul dramma del campo di "rieducazione" di Jiabiangou, nel deserto di Gobi, dove venivano deportati i "nemici del popolo", accusati di opposizione al regime. Costretti di giorno a dissodare un terreno di oltre 4000 ettari, scavando un lunghissimo fossato, e sfiancati dalle estreme condizioni climatiche oltre che dalla terribile carenza di cibo, in molti persero la vita di notte, durante il sonno, per essere poi sbrigativamente "seppelliti" sotto manciate di polvere.
Resoconto durissimo e straziante, basato sul romanzo di Yang Xianhui e sulle testimonianze di quanti vissero in prima persona quell'orrore, The Ditch si rivolge senza mezzi termini allo spettatore per coinvolgerlo in una vera e propria discesa nella fossa della dignità umana, dove un brodo di topo diventa la penultima possibilità di sostentamento, perché l'ultima è il vomito di un compagno di sventura. Almeno fino a quando l'altro è ancora in vita, perché poi anche la sua carne diventa oggetto di attenzioni: ed è nella più spaventosa delle aberrazioni, nell'uomo-mangia-uomo, che la disperazione arriva definitivamente in "superficie". A coglierne ogni aspetto, l'occhio-esterno, quello di una donna giunta nel campo per trovare il marito (morto a sua insaputa qualche giorno prima): inevitabile che a questo punto il registro emotivo del film cambi rotta, l'enfasi dapprima assente inizia a tracciare i solchi verso quella che per Wang, crediamo, deve essere la strada verso la necessaria empatia. Che, almeno come suggerimento linguistico, emerge nei confronti dei tanti prigionieri già dalle prime sequenze del film: il chiuso, il buio, lo spazio ristretto dei loro "dormitori" scavati nel terreno impediscono anche solo di immaginare la libertà, allo stesso modo dello sconfinato nulla che li tiene ingabbiati durante il giorno, fuori, corpi "ancora" vivi circondati da quel che resta di loro stessi.
"Dedicato a tutti coloro che hanno sofferto, a quelli che sono caduti e a chi continua ad andare avanti". Un film indispensabile, di un regista che fra qualche settimana (dal 16 al 30 novembre) sarà possibile studiare più a fondo grazie al Filmaker Film Festival di Milano, che ospiterà tutto il suo lavoro.