Di fronte alla proposta di istituire un’Agenzia nazionale per il cinema e l’audiovisivo – cavallo di battaglia del Pd con la pdl Schlein – il presidente della commissione Cultura, Federico Mollicone (FdI) non alza un muro. Il primo firmatario della mozione 1-00489 (che chiede un Forum del cinema e dell’audiovisivo, la conferma della gestione statale del Fondo e una razionalizzazione delle competenze) insiste sulla necessità di una “governance integrata, efficiente e centrale”, ma lascia aperta la porta anche all’ipotesi dell’ente autonomo: «Che si arrivi a un’Agenzia esterna o a una Direzione Generale dotata di autonomia speciale, ciò che conta è che ci sia un “centro di comando” agile e tecnologicamente avanzato».

Onorevole, Lei è il primo firmatario della mozione 1-00489, che propone – tra le altre cose – l’istituzione di un Forum del cinema e dell’audiovisivo, la conferma della gestione statale del Fondo e una razionalizzazione delle competenze. In parallelo, alla Camera si discute la proposta di Agenzia per il cinema e l’audiovisivo. Che idea complessiva di governance del settore ha in mente la maggioranza?
La nostra visione è quella di una governance integrata, efficiente e centrale. Vogliamo superare la frammentazione attuale puntando su una struttura ministeriale rafforzata, con un aumento del personale dedicato, procedure più snelle e incentivi più certi. Centrale sarà la semplificazione amministrativa, insieme a una riforma dei contributi selettivi che introduce anche la figura del tax credit manager, parte integrante di un più ampio disegno di trasparenza e controllo.

Nella mozione si legge che il Forum del cinema e dell’audiovisivo dovrebbe sostituire il Consiglio superiore ed essere composto da associazioni rappresentative ed esperti nominati dal Ministro. Come immagina, concretamente, il funzionamento di questo Forum? Sarebbe un organo consultivo, una sede di concertazione stabile, un luogo di co-programmazione delle politiche?
Il Forum non sarà una mera passerella, ma una sede di concertazione stabile e qualificata. Sostituendo il Consiglio Superiore, diventerà il luogo dove le associazioni di categoria e i massimi esperti dialogheranno con il Ministero. Lo immagino come un organo di consultazione preventiva sui decreti attuativi e sulla programmazione dei bandi. La co-programmazione è la parola chiave: lo Stato decide la strategia, ma lo fa ascoltando chi il cinema lo produce, lo distribuisce e lo esercita ogni giorno.

Il testo parte da numeri molto positivi: crescita del sostegno pubblico, aumento degli investimenti, boom degli investimenti internazionali, incremento delle presenze estive grazie a Cinema Revolution. Se il quadro è così dinamico, dove vede Lei il bisogno più urgente di riforma: nella quantità delle risorse o nella qualità della loro gestione?
La scelta politica è chiara: verifiche rigorose per tutelare imprese sane e professionisti seri. Abbiamo trovato un sistema che talvolta procedeva per inerzia. Insieme al Ministro Giuli siamo già intervenuti con controlli rigorosi contro le truffe, con perizia di congruità dei costi e un orientamento dei fondi verso opere che abbiano una reale ricaduta industriale o un alto valore identitario e artistico.

In queste settimane il settore globale è scosso dall’ipotesi di acquisizione tra Netflix e Warner Bros Discovery, con una controfferta aggressiva di Paramount/Skydance. Al di là di come andrà a finire, quanto incidono questi processi di concentrazione internazionale sulle scelte di governance che l’Italia deve fare adesso? E che ruolo dovrebbero giocare, secondo Lei, governo e Parlamento italiani di fronte a un’eventuale ulteriore polarizzazione del mercato mondiale?
I giganti del web e le grandi fusioni globali impongono all’Italia di essere un interlocutore solido. La nostra risposta è l’irrobustimento dell’industria nazionale. Di fronte alla polarizzazione del mercato, il Governo deve agire come scudo e volano: da un lato tutelando i produttori indipendenti, dall’altro rendendo l’Italia – e Cinecittà – l’hub produttivo più competitivo d’Europa.

La mozione rivendica con forza l’azione di “analisi, verifiche e controlli con il massimo rigore”, anche per portare alla luce irregolarità e truffe. Questo cambio di passo sui controlli quanto ha inciso, secondo Lei, sulla riscrittura dei decreti attuativi in materia di tax credit? E oggi il sistema le sembra più solido o più ingessato?
La riscrittura dei decreti attuativi è stata necessaria per evitare che il credito d’imposta diventasse un bancomat senza ritorno culturale o industriale. Abbiamo introdotto filtri necessari per garantire che ogni euro pubblico generi valore reale. La riforma non porterà caos e incertezze – come accusano le opposizioni – ma maggiore chiarezza ed equità per tutti i lavoratori, i produttori, gli artisti, i tecnici, le maestranze e i giovani autori che hanno deciso di scommettere sulla propria Nazione e su questo settore.

Tra gli impegni c’è quello di continuare ad assicurare la gestione statale del Fondo e, al tempo stesso, di valutare l’affidamento della tesoreria del Fondo a un intermediario bancario vigilato. Ci può spiegare meglio questa distinzione? Che cosa cambierebbe, in concreto, per i produttori e per le altre imprese del settore?
La distinzione è fondamentale: la strategia e la titolarità rimangono saldamente in mano allo Stato, garantendo l’interesse pubblico. Affidare però la tesoreria a un intermediario bancario vigilato significa dare velocità ai flussi: liquidazioni più rapide, certezza dei pagamenti e procedure più snelle. Per un produttore significa meno burocrazia e tempi d’attesa ridotti per ricevere quanto dovuto.

La mozione insiste molto su periodi predeterminati e fissi di pubblicazione dei bandi (contributi selettivi, promozione, ecc.) e sul rafforzamento del personale della Direzione generale. È una risposta alle lamentele del settore su tempi imprevedibili e istruttorie troppo lente? Che risultati si aspetta da questa “messa a calendario” delle uscite?
È la fine dell’incertezza. Le imprese non possono programmare investimenti se non sanno quando usciranno i bandi. Prevedere due finestre fisse all’anno per i selettivi e la promozione è un atto di rispetto verso il mercato. Risponde direttamente alle richieste del settore.

In più punti chiedete di rafforzare la Direzione generale competente, sia in termini di organico sia di digitalizzazione delle procedure, fino all’idea di una figura di “tax credit manager”. Dobbiamo leggere questo come un modello di DGCA “super potenziata” dentro il MiC, alternativo all’ipotesi di Agenzia, o le due soluzioni possono convivere?
Sono due modelli in discussione, ma l’obiettivo è comune: l’efficienza. Il rafforzamento degli organici, la digitalizzazione e l’introduzione del Tax Credit Manager servono a rendere l’amministrazione capace di gestire la complessità attuale. Che si arrivi a un’Agenzia esterna o a una Direzione Generale dotata di autonomia speciale, ciò che conta è che ci sia un “centro di comando” agile e tecnologicamente avanzato.

Nel testo si parla anche di razionalizzare e semplificare la ripartizione delle competenze tra amministrazioni statali e altri enti in materia di cinema e audiovisivo. Quali sono oggi, a suo giudizio, le sovrapposizioni o i conflitti di competenza più evidenti che andrebbero risolti?
Oggi assistiamo a una frammentazione eccessiva tra Stato, Regioni ed enti locali, spesso con procedure autorizzative – si pensi al cineturismo o alle riprese – che si sovrappongono. Dobbiamo arrivare a un “punto unico di accesso” per chi vuole produrre in Italia. Razionalizzare significa semplificare la vita a chi investe sul territorio.

Un altro passaggio importante riguarda la ridefinizione della nozione di “produttore indipendente” e, più in generale, delle definizioni rilevanti ai fini della promozione delle opere europee e italiane. In che direzione pensa che si debba andare per conciliare tutela dell’indipendenza e necessità di irrobustire l’industria?
Dobbiamo proteggere la nostra specificità culturale senza condannare le aziende ad una specificità produttiva. Indipendenza non deve significare fragilità.

Lei chiede di continuare a sostenere formazione, alfabetizzazione, inclusione, cineturismo, videogiochi, sale, fino all’ipotesi di riconoscere l’immagine cinematografica come patrimonio immateriale Unesco. Come si tiene insieme questa agenda molto ampia con l’esigenza di una governance più semplice e leggibile per gli addetti ai lavori?
La mozione parla chiaro: rafforzamento del personale e digitalizzazione delle procedure. Il cinema è un patrimonio immateriale, ma la sua gestione deve essere materiale e pragmatica. Inserire i videogiochi e il cineturismo nella stessa visione strategica significa capire che l’audiovisivo oggi è un ecosistema unico.

Guardando ai prossimi mesi: tra Forum del cinema, eventuale Agenzia, rafforzamento della Direzione generale, razionalizzazione dei bandi e del tax credit, quali sono per Lei le tre priorità politiche non rinviabili? In altre parole: da che cosa si giudicherà, a fine legislatura, se la riforma del sistema avrà funzionato?
Come sottolineato in precedenza, le priorità sono la certezza dei tempi, l’efficacia del Tax Credit – con risorse a chi produce valore e non a chi specula – e l’internazionalizzazione. A fine legislatura saremo giudicati dai dati: se le presenze in sala aumenteranno ancora e se l’industria nazionale sarà più solida e meno dipendente dal solo sussidio, avremo vinto.

Infine, una domanda sui rapporti con il settore: come immagina il dialogo tra politica e associazioni di categoria dentro questo nuovo assetto? Il rischio è sempre quello di scivolare o in una concertazione puramente formale o, all’opposto, in una gestione troppo verticistica. Qual è, per Lei, il punto di equilibrio giusto?
Il punto di equilibrio è la trasparenza. Il Forum sarà lo strumento per evitare sia il verticismo che la concertazione di facciata. La politica si assume la responsabilità delle scelte, ma le scelte devono essere informate da chi vive di cinema. Il dialogo sarà costante, franco e basato sul merito, non sulle rendite di posizione, come avveniva in passato.