Il terzo capitolo della trilogia vendicativa di Park Chan-wook si declina al femminile. Dopo Sympathy for Mr Vengeance e Old Boy (vincitore del Gran Premio della Giuria a Cannes 2004), il regista coreano - di cui Tarantino ha più volte tessuto pubblici elogi - incolla il suo schema tragico sul volto e sul corpo di Geum-ja (Lee Young-ae) secondo le consuete coordinate temporali: prigionia e quindi giustizia privata e truculenta. Ma con una significativa novità: la vendetta pur strettamente personale viene delegata nella sua realizzazione ad altri genitori colpiti come Geum-ja dal medesimo lutto, l'assassinio di un figlio. Vi è poi una seconda sostanziale differenza: l'epilogo è sfrondato dall'odio e si apre ad accogliere redenzione e purificazione. Le immagini sono sempre cariche di violenza virale per costruire il percorso di rivalsa della protagonista, l'editing è serrato, la macchina da presa rabbiosa. Come Geum-ja dipinta dai media come un mostro, arrestata e imprigionata. In carcere per 13 lunghi anni, mantiene una condotta esemplare, ma la determinazione è unica: dare la caccia al suo vecchio insegnante... Ma, dicevamo, la trama della vendetta allarga le proprie maglie per un ordito in cui la tristezza si lega all'umanità, l'ansia del vivere alla frenesia di dare la morte, la pietà al furore. Pietas che prima ristretta nelle celle anguste del carcere si libera nel finale: l'utilizzo strumentale dei sentimenti altrui di Geum-ja - sfociato nella vendetta delegata - si rivela moralmente improduttivo. Sotto la neve che celebra un candore in nuce, l'abbraccio tra la madre della vendetta e la figlia dell'amore consacra il "sentire con" di Sympathy for Lady Vengeance.