12 febbraio 1976: un giorno nella vita di Sal Mineo, l'ultimo. Lo ricostruisce James Franco, al suo quarto lavoro dietro la macchina da presa, l'impiego che non lo ha reso famoso. Sal - presentato in Orizzonti - è finzione ma sembra documentario. Il regista pedina l'attore (il bravissimo Val Lauren) nel quotidiano, riprendendolo nei diversi momenti di una fatidica giornata - dal risveglio alla morte, avvenuta per mano di un fattorino e per motivi tutt'ora ignoti - cercando di aderire completamente all'epidermide dei fatti e del personaggio: la scommessa è che i fatti stessi, così come sono avvenuti, senza evidenti manomissioni o filtri emotivi, possano rivelare qualcosa di profondo e di vero della personalità dell'attore due volte premio Oscar (Per Gioventù bruciata ed Exodus).
La scommessa è vinta a metà: Franco sa dove mettere la macchina da presa, ha sensibilità psicologica, intuisce quali sono i momenti capaci di restituire del protagonista il carattere, il sommerso, la profonda gioia di vivere (dopo essere stato dimenticato per più di un decennio, Mineo stava finalmente risalendo la china); segue una sua poetica, lavorando molto sulle superfici e sui riflessi, nell'intenzione di raccontare la realtà come davanti a uno specchio, convinto che l'immagine della realtà sia insieme enigma ed indizo per il suo disvelamento. Tra il descrivere e il decrittare Franco però finisce per sacrificare proprio Mineo che, al netto di ogni mitologia, finisce per somigliare a un uomo qualunque. Qualche taglio in più inoltre sarebbe stato opportuno (troppi i momenti morti). All'uomo non avrebbe tolto nulla. A Sal avrebbe invece giovato.