Era l'ultimo degli italiani in concorso. E' arrivato primo. Il Marc'Aurelio d'oro del pubblico a Resolution 819 di Giacomo Battiato premia un film importante, forse il più scioccante della selezione, non il più bello. Merito principale di Battiato - regista di estrazione televisiva - resta quello di avere scavato nella memoria devastata dell'ex Jugoslavia per riportare alla luce le "ossa che urlano" di 8000 bosniaci musulmani trucidati a Srebrenica dalle milizie di Mladic con la complice inerzia dei caschi blu olandesi. Sono quest'ultimi i maggiori imputati, perché osservarono e non mossero un dito, tradendo il mandato - la risoluzione del titolo - che le Nazioni Unite avevano affidato loro, colpevoli (questa la tesi avvalorata dal film) più d'ignavia che d'impotenza. Ispirandosi al cinema politico degli anni '70, Battiato racconta una pagina oscura di Storia attraverso l'esperienza di un poliziotto francese (Benoit Magimel), testimone di una strage che per sei anni lo tormenterà nel tentativo di ricomporre il mosaico intricato di corpi e di prove che metteranno alla sbarra - oltre a Mladic - anche i più "impassibili" tra i soldati ONU. Sulla disperazione prevale l'ansia (e speranza) di verità, anche se non sempre la materia trova adeguata "giustizia" nella forma, che scambia la povertà di stile per sobrietà, indugia nella didattica e mette troppa enfasi quando deve montare la partitura di Morricone alle scene madri. Anche così, Resolution 819 non si aggiudica un premio immeritato: dalla sua un cast eccellente (oltre alla recitazione trattenuta di Magimel, colpisce la polacca Karolina Gruszka), l'autentica partecipazione del pubblico e il valore civile dell'operazione che, senza cancellare le pecche, ci ricorda che qualcosa di tremendo è avvenuto. E non si fa dimenticare.