1987, periferia di Tokyo. L’undicenne Fuki lotta: il padre Keiji ha il cancro, la madre Utako lavora a tempo pieno. E lei, che fare? L’immaginazione è la via, la verità e la vita, e quanto perigliosa? Renoir, che evoca poeticamente il pittore Auguste (in camera tiene la riproduzione del Ritratto di Irene Cahen d'Anversa) e il regista Jean, è il secondo lungometraggio della giapponese Chie Hayakawa: rivelata nel 2014 a Cinéfondation con il saggio di diploma Niagara, battezzata a Un Certain Regard con Plan 75 nel 2022, stavolta corre per la Palma.

E non è mera partecipazione: Hayakawa tiene la macchina da presa insieme ad altezza di bambina e delle cose umane, umanissime le più importanti, chiedendosi – e facendoci chiedere – che cosa sia la solitudine, se si possa intendere il dolore degli altri, se si possa anche bastare a sé stessi senza perdere valore e splendore.

Questioni che germogliano, sbocciano e tracimano da Fuki, cui Yui Suzuki – non professionista trovata con un casting interminabile – dona un incanto da mozzare il fiato: si va con e per lei in una fantas(magor)ia con i crismi della sopravvivenza, in un altro mondo possibile che è forse l’unico, dove prendere la misura, dare il nome alle cose è tutto.

Fuki si dà senza ritegno, come solo i piccoli, facendosi specchio e scandaglio, spia e allarme, perfezionando un coming-of-age pieno di grazia ma non orfano di pericolo – lo spauracchio dell’orco. È il suo andare per luoghi, sensazioni ed emozioni veicolo cinematografica in purezza, pianosequenza esistenziale cui Hayakawa si rimette anima e occhio, corpo e spirito, chiedendo al montaggio le attrazioni di una preadolescente, alla prima persona – Renoir recepisce tanti elementi autobiografici, a partire della malattia del padre – la declinazione dell’universale.

Yui Suzuki, e non solo lei, è da premio, Renoir un gioiellino a basso budget – due milioni di dollari – e alte ambizioni, che il direttore della fotografia Hideho Urata stempera con immediatezza, aria e luce. Sono immagini che avocano a sé la sinestesia: le sentiamo, le odoriamo. E quando ci ricapita?