Era nel pieno dell’adolescenza, la regista Klaudia Reynicke, all’inizio degli anni Novanta, periodo in cui il Perù era segnato da una profonda instabilità politica, con radicati conflitti sociali e un’inesorabile crisi economica. È il momento storico in cui la stessa Reynicke, nata a Lima nel 1976, lasciò il Perù per trasferirsi prima in Svizzera, diventata seconda patria, e poi in Florida, dove si è laureata. In Reinas, suo terzo lungometraggio, fa convergere il personale con il collettivo, focalizzandosi proprio su quella fase, nel 1992, in cui il movimento maoista Sendero Luminoso cercava di sovvertire il sistema con azioni di guerriglia e il presidente Alberto Fujimori compiva una specie di autogolpe, sciogliendo il Parlamento e sospendendo la Costituzione.

In un contesto cupo e cruento, nel quale le libertà civili vengono represse, molte famiglie scelsero l’esilio: compresa quella di Reynicke, che torna proprio a quei giorni per inquadrare uno sconquassamento privato nell’ambito di uno shock pubblico. L’estate divampa, gli eventi precipitano, due sorelle stanno per lasciare il Paese con la madre. Per andare via hanno bisogno dell’approvazione del padre, carismatico quanto inaffidabile, da sempre assente nella vita delle figlie ma la cui firma è indispensabile per i documenti di uscita.

Come Carla Simón in Estate 1993 o Alfonso Cuarón in ROMA, Reynicke non scontorna mai la vicenda biografica personale da quella nazionale, sottolineando le risonanze di quel che accade fuori, i contraccolpi ambientali e i cortocircuiti tra la storia ufficiale e quella familiare. Tant’è che la scelta di lasciare Lima non è esclusivamente ascrivibile ai tumulti sociopolitici ma affonda le radici nell’esigenza di affrancarsi dal dolore, dai luoghi che contengono ricordi ingombranti, dal tempo perduto da metabolizzare anziché rincorrere.

Reinas
Reinas

Reinas

Passato al Sundance 2024, premiato come miglior film nella sezione Generation Kplus a Berlino e presentato anche a Locarno, Reinas è un film che trasmette il senso stesso dell’estate come indice di una temperatura emotiva prossima all’incandescenza: l’effimero che si candida a farsi perpetuo, le promesse che non possiamo mantenere ma a cui vogliamo credere, la parentesi di un sentimento che non può resistere all’autunno.

C’è una dolce intimità, nello sguardo di Reynicke che scandaglia la relazione tra le sorelle, e c’è un allineamento con la prospettiva adolescenziale nel descrivere da lontano il caos politico: non a caso si scoprono assonanze con la misura implacabile del pur migliore Aftersun di Charlotte Wells, altro racconto di formazione in cui affidiamo alla memoria la ricostruzione di come il nostro sguardo e il nostro corpo si confrontano, si scontrano e infine accettano la perdita dell’innocenza. In anteprima alla 18a edizione de La Nueva Ola – Festival del Cinema Spagnolo e Latinoamericano, dal 15 maggio nelle sale italiane.