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Soy Nevenka
Dopo Maixabel, storia vera della donna che accettò di incontrare uno degli assassini del marito, avviando così un percorso di giustizia riparatrice, Icíar Bollaín continua la sua ideale galleria di figure femminili che hanno segnato la storia recente spagnola. E se in un certo senso si trova ancora una volta alle prese con una vicenda in cui la vendetta deve cedere il passo alla giustizia, allo stesso tempo conferma la tendenza a costruire un cinema che, anche quando non direttamente biografico, si nutre della realtà per emanciparsi dalla restituzione cronachistica.
Come già nel suo film più celebre e celebrato, Ti do i miei occhi, che affrontava quel tema degli abusi sessuale che in Soy Nevenka trova un inquadramento più politico. Al centro c’è la vicenda di Nevenka Fernández, economista e assessore alla Finanze di Ponferrada tra 1999 e il 2000, nota per essere la prima donna spagnola ad aver ottenuto la condanna di un uomo politico, l’allora sindaco Ismael Álvarez del Partito Popolare, per molestie sessuali.
A distanza di venticinque anni dai fatti rievocati, Bollaín e la cosceneggiatrice Isa Campo esaltano la statura morale di Fernández senza farne un santino, ma mettendone in luce l’azione pionieristica e il coraggio civile nonostante il disorientamento di fronte a un potere desacralizzato e la solitudine all’interno di una società indisponibile all’ascolto e pronta a isolare (anzi: linciare) chi intende picconare l’ordine costituito. Un film netto, dritto e per questo strenuamente politico che trova la chiave nel titolo, dove la prima persona determina l’identificazione, invita al riconoscimento, indica il personale diluendolo nel collettivo, quasi a contenere l’eco del #MeToo, ovvero “anche io”.


Soy Nevenka
L’attualità sta nella censura del patriarcato, in quel pezzo di universo maschile che ha usato la politica come espressione fallocentrica di una consuetudine alla sopraffazione, resa in maniera precisa ed efficace nel rappresentare l’approccio di Álvarez, dai “corteggiamenti” via karaoke passando per le avance verbali in auto fino alle molestie sessuali e all’ostracismo sul posto di lavoro. Un ruolo, quello del sindaco, che Urko Olazabal restituisce senza eluderne l’arrivismo e il cinismo, pur con qualche schematismo espressivo, mentre la protagonista Mireia Oriol si impegna a esplorare l’ampio e complesso spettro emotivo di una donna costretta a passare dalla riconoscenza allo spaesamento, dalla rabbia all’impotenza.
È vero, la prima parte funziona meglio della seconda più didascalica, il risultato si muove nei pressi del tabloid filmato e la docuserie Rompere il silenzio di Maribel Sánchez-Maroto è più approfondita, ma Bollaín fa un cinema onesto e circostanziato senza cedere alla tentazione della misandria. Anche perché conviene ricordare che, sì, Fernández vinse in tribunale ma perse altrove: il mondo del lavoro le voltò le spalle, Álvarez tornò in consiglio comunale, certa stampa cominciò a dubitare della versione. Solo nel 2023 la città di Ponferrada riconobbe il coraggio dell’ex assessore: in una rotonda della città oggi sorge un monumento a lei dedicato. In anteprima alla 18a edizione de La Nueva Ola – Festival del Cinema Spagnolo e Latinoamericano.