La disastrata famiglia di Demme avrebbe meritato un premio a Venezia. Quattro anni dopo The Manchurian Candidate, il regista americano torna al al cinema di finzione, regalandoci con Rachel sta per sposarsi un ritratto d'interni toccante. Il procedimento, già sperimentato con successo nei documentari, prevede un personaggio chiave utilizzato per aprire le segrete di un mondo, fosse la realtà socio-politica di un Paese (The Agronomist) o quella psico-lesionista di un focolare domestico. Perno della vicenda è Kym, figlia, sorella e tossica dei Buchmann, appena uscita da un rehab (una clinica per disintossicarsi) per partecipare alle nozze della sorella maggiore Rachel. Ritorno a casa che alterna le gioie dei preparativi alle crisi di una famiglia disgregata, che vorrebbe solo ritrovarsi e non sa, o forse non vuole, riuscirci. "Che cosa dovrei essere?", urla Kim alla sorella, e la domanda riverbera dallo schermo alla sala segnalandoci un irreparabile strappo affettivo, l'impossibilità di corrispondere alle richieste degli altri. Strappo tirato da una parte e dall'altra, delle ragioni agli antipodi, degli sguardi che occludono, dei passati che non voglion passare. E, di contro, una parola tenera, un sorriso, uno spiraglio che resiste a fondamento irragionevole di ogni famiglia, anche la peggiore. Più che di ferite insanabili Demme ci parla dello smacco della volontà, di una lacerazione che sanguina nonostante gli sforzi, trovando nella piccola comune dei legami di sangue la sua America oggi. L'esperienza documentaria ha giovato al suo cinema: gli ha regalato misura, attenzione per i dettagli, una prassi che insegue il vibrato del reale e lo assorbe, convertendo ogni sussulto in discorso. A imporsi è una forma che, memore del cinema di Cassavetes (Una moglie), Altman (il coro di voci) e Kechiche (l'immediatezza), trascina lo spettatore nel qui e ora di una recita che sembra (e si fa) vera. Merito anche di un'eccezionale scrittura(della figlia di Lumet), della partitura ritmica del film - che si dilata e si restringe secondo i tempi della vita(e della musica: non si vedevano così tante performance live dai tempi di Nashville), e di un parterre d'attori in stato di grazia, da cui emerge una Hathaway immensa, capace di far recitare anche gli zigomi.