Il corpo di Padre Jerzy Popieluszko venne ritrovato il 30 ottobre 1984 nelle acque della Vistola. Aveva 37 anni ed era considerato da tutti il cappellano di Solidarnosc. Dimenticata per anni, la sua storia riemerge precisa in Popieluszko, il film che dopo, lo straordinario successo in Patria (più di un milione di polacchi è andato a vederlo) arriva in Italia mentre è in corso il processo di beatificazione (per martirio) del sacerdote. Il film di Rafal Wieczynski - che sul "Servo di Dio" aveva già realizzato il documentario I vincitori non muoiono. Documento su padre Popieluszko, inedito in Italia - ripercorre passo dopo passo la vita del cappellano (impressionante la somiglianza dell'attore Adam Woronowicz), dall'infanzia nelle campagne di Okopy (dove Popieluszko, figlio di contadini, era nato nel 1947) al servizio militare obbligatorio presso l'unità di Bartoszyce, riservata ai seminaristi; dal trasferimento a Varsavia sotto le cure spirituali di Padre Teofil Bocucki all'attività pastorale in seno al neonato sindacato libero degli operai polacchi, con cui condivise speranze e lotte, prima di essere eliminato dal regime comunista, che già nel 1981 aveva introdotto nel Paese la legge marziale. Diversamente dal cinema politico di Wajda (sulla dittatura polacca e le lotte di Solidarnosc aveva girato L'uomo di marmo (1977) e L'uomo di ferro, quest'ultimo Palma d'oro a Cannes nel 1981), e di Agnieszka Holland (che aveva già affrontato la vicenda del cappellano di Solidarnosc nel malriuscito Un prete da uccidere, con Christopher Lambert), Popieluszko di Wieczynski privilegia un approccio decisamente intimista nel tentativo di svelare "come un cammino spirituale diventi anche un percorso di liberazione politico e civile". Umanamente, la controparte comunista non esiste, ridotta nel film a servo-meccanismo di un potere malvagio e spietato. Una scelta coerente all'assunto - raccontare l'eroismo di chi non si piega e resta fedele ai propri ideali - più che un limite. Limite che emerge piuttosto dal trattamento per immagini, vicinissimo allo spirito della fiction più che al rigore del cinema, e dall'inevitabile sapore agiografico dell'operazione. Anche così, non ci si annoia mai e nel finale la commozione affiora autentica.